lunedì 27 luglio 2015

DIEGO GUADAGNINO, Dalla riverenza al parricidio. I portraits di Giuseppe Alletto


Scrittura e pittura coabitano l’identità creativa di Giuseppe Alletto senza soluzione di continuità. Se i suoi saggi luccicano di intuizioni e si nutrono di richiami ai nomi, ai movimenti del secolo passato, le sue grafiche ne sembrano la naturale continuazione, si pongono come un loro prolungamento risolto nella dilatazione figurativa della scrittura. I ritratti che da alcuni anni a questa parte il giovane artista bagarese ci viene proponendo, infatti, appartengono a scrittori, poeti, filosofi, pittori, che scorrono sotto il nostro sguardo come uscissero dalle sue pagine spinti dalla forza di un talento visionario e debordante.

   Nobile castello dantesco? pantheon dell’anima ? A un primo fugace approccio si direbbe di sì, che la galleria dei volti tracciati non sia che un plaudente circondarsi di miti culturali. Ma troppo gravido di senso è il disegnare un volto che ci ossessiona e, soprattutto, Alletto è troppo intellettualmente smaliziato per essere emotivamente celebrativo, prova ne siano le alterazioni che a tratti deturpano quei volti come rosi da una specie di ripulsa del mondo e di stessi.
   L’incedere della sua opera nel tempo è stato un disvelarsi attraverso l’accentuazione di tratti tenebrosi e maledetti nelle incursioni somatiche della sua matita, sempre più evocatrice di presenze familiari eppure destabilizzanti. Un itinerario artistico che possiamo idealmente collocare tra il ritratto di Nietzsche, realisticamente fedele, e il profilo di un Beckett afflitto dalla lebbra di un’incipiente decomposizione. Difficile non pensare a quello che è il primo comandamento di tutte le avanguardie: il parricidio estetico celebrato e consumato nella rivolta contro i padri nobili dell’idea di bellezza. Paul Valery diceva che “vi è un’immensa differenza tra il vedere qualcosa senza matita in mano e il vederla mentre la si disegna”, affermazione che ci porta a intravedere nell’atto del disegnare il realizzarsi di un’epifania che l’occhio nudo non potrebbe mai produrre: la distruzione della superficie che occulta l’insospettabile. Alletto tenendo la matita estende lo sguardo nel sommerso, scandaglia le acque limacciose del rimosso, stana i mostri allevati dall’insufficiente ragione; e i suoi ritratti diventano le orme di chi vincendo l’orrore si avventura in un territorio di emancipazione e di catarsi; noi, fruitori esterni del suo lavoro, assistiamo al ricomporsi dell’enigma dove il pensiero aveva ricucito un concetto, se non una certezza. I volti di Pirandello, Sylvia Plath, Celine, Baudelaire sottoposti a un percorso inverso a quello che li ha fatti diventare i nostri classici, degradano a emblemi, a maschere, a fantasmi che ci inquietano nel nostro sapere col renderlo presunto.
   Con questa mostra, Portraits 2004-2008, Alletto ci propone quattordici grafiche a biro, matita, pastello, carboncino, disegni giovanili che stanno all’opera più recente come la radice all’albero, disegni in cui quasi riverente si direbbe l’accostarsi a Nietzsche, a Rimbaud, a Kavafis, a Dostoevskij che segnano già il perimetro delle sue tematiche, senza tuttavia preannunciare il virtuosismo iconoclasta delle opere posteriori.

TITOLO: Ritratto di Charles Baudelaire
TECNICA: grafite e pastello su carta
DIM: 33x48 cm
ANNO: 2012

TITOLO: Ritratto di Arthur Rimbaud
TECNICA: grafite, pennarello e matita colorata su carta
DIM: 33x48 cm
ANNO: 2005

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