Scrittura e pittura coabitano l’identità
creativa di Giuseppe Alletto senza soluzione di continuità. Se i suoi saggi
luccicano di intuizioni e si nutrono di richiami ai nomi, ai movimenti del
secolo passato, le sue grafiche ne sembrano la naturale continuazione, si
pongono come un loro prolungamento risolto nella dilatazione figurativa della scrittura.
I ritratti che da alcuni anni a questa parte il giovane artista bagarese ci
viene proponendo, infatti, appartengono a scrittori, poeti, filosofi, pittori, che
scorrono sotto il nostro sguardo come uscissero dalle sue pagine spinti dalla
forza di un talento visionario e debordante.
Nobile castello dantesco? pantheon dell’anima
? A un primo fugace approccio si direbbe di sì, che la galleria dei volti
tracciati non sia che un plaudente circondarsi di miti culturali. Ma troppo
gravido di senso è il disegnare un volto che ci ossessiona e, soprattutto,
Alletto è troppo intellettualmente smaliziato per essere emotivamente celebrativo,
prova ne siano le alterazioni che a tratti deturpano quei volti come rosi da
una specie di ripulsa del mondo e di stessi.
L’incedere della sua opera nel tempo è stato
un disvelarsi attraverso l’accentuazione di tratti tenebrosi e maledetti nelle
incursioni somatiche della sua matita, sempre più evocatrice di presenze
familiari eppure destabilizzanti. Un itinerario artistico che possiamo
idealmente collocare tra il ritratto di Nietzsche, realisticamente fedele, e il
profilo di un Beckett afflitto dalla lebbra di un’incipiente decomposizione.
Difficile non pensare a quello che è il primo comandamento di tutte le
avanguardie: il parricidio estetico celebrato e consumato nella rivolta contro
i padri nobili dell’idea di bellezza.
Paul Valery diceva che “vi è un’immensa differenza tra il vedere qualcosa senza
matita in mano e il vederla mentre la si disegna”, affermazione che ci porta a
intravedere nell’atto del disegnare il realizzarsi di un’epifania che l’occhio
nudo non potrebbe mai produrre: la distruzione della superficie che occulta
l’insospettabile. Alletto tenendo la matita estende lo sguardo nel sommerso,
scandaglia le acque limacciose del rimosso, stana i mostri allevati dall’insufficiente
ragione; e i suoi ritratti diventano le orme di chi vincendo l’orrore si
avventura in un territorio di emancipazione e di catarsi; noi, fruitori esterni
del suo lavoro, assistiamo al ricomporsi dell’enigma dove il pensiero aveva
ricucito un concetto, se non una certezza. I volti di Pirandello, Sylvia Plath,
Celine, Baudelaire sottoposti a un percorso inverso a quello
che li ha fatti diventare i nostri
classici, degradano a emblemi, a maschere, a fantasmi che ci inquietano nel
nostro sapere col renderlo presunto.
Con
questa mostra, Portraits 2004-2008, Alletto
ci propone quattordici grafiche a biro, matita, pastello, carboncino, disegni
giovanili che stanno all’opera più recente come la radice all’albero, disegni
in cui quasi riverente si direbbe l’accostarsi a Nietzsche, a Rimbaud, a
Kavafis, a Dostoevskij che segnano già il perimetro delle sue tematiche, senza
tuttavia preannunciare il virtuosismo iconoclasta delle opere posteriori.
TITOLO:
Ritratto di Charles Baudelaire TECNICA: grafite e pastello su carta DIM: 33x48 cm ANNO: 2012 |
TITOLO:
Ritratto di Arthur Rimbaud TECNICA: grafite, pennarello e matita colorata su carta DIM: 33x48 cm ANNO: 2005 |
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