Presentazione di Giovanni RAGUSA
Associazione VISIONE IBLEA
Palazzo Failla Hotel - Modica
14 settembre 2008, ore 19:30
Se le sillabe qui disposte in rima]
Se le sillabe qui disposte in rima
secondano la brama di chi scrive
vuol dire che son morte ancora prima
d’avere luce tra le cose vive.
Non voglio la parola che stupisce
e resta ferma a cosa vile e vana,
ma la parola, sì, che scaturisce
dal silenzio ch’è cenere di brama.
KALI – YUGADolente in una minima dimora
scavata tra le sabbie del pensiero
la carne adula ciò che la divora
e vana la disperde nel mistero.
La muta sfera di un’eterna aurora
illumina lo spazio veritiero
nell’aldilà del senso che lavora
su forme d’ombra come fosse il vero.
La forza offende il sangue e fa precetto
graziando solamente la paura
che brulica in anfratti e per l’effetto
riduce questa terra a sua misura,
ne uccide l’acqua e l’erba … e maledetto
il cielo di quest’epoca ci oscura.
INCIPIT
Ho recitato l’ottava di pagina 23, che apre la raccolta TRASMUTAZIONE,
di Diego GUADAGNINO, da cui prende il titolo l’intero libro che ci
accingiamo ad “aprire”, alla presenza dell’Autore.
Quindi ho recitato il sonetto dal titolo KALI-YUGA, posto a pagina 19,
che dell’intero libro costituisce il respiro e la vera porta d’accesso.
KALI-YUGA, traducendo dal sanscrito dei testi indù, da cui questo
simbolo verbale proviene, significa ETA’ OSCURA, che è la nostra
attuale.
Metto insieme questi due brani, per consegnarveli come DEDICA mia, a voi
e tra di noi; come MANIFESTO della poetica di Diego GUADAGNINO e come
GUIDA, per inoltrarci nella comprensione e nelle visioni che da essa ci
vengono aperte.
DEDICA
Dedica a tutti voi e a ciascuno significa saluto e accoglienza,
riconoscimento della presenza di ciascuno come evento irripetibile nel
cosmo e nel tempo; significa apertura di sé alla reciproca
comunicazione.
Significa che, da parte mia vi ho accolti tutti nei miei pensieri, fin
dal primo momento in cui mi sono posto a leggere questo frutto della
poesia che qui ci riunisce.
Dedica vuol dire anche patto: disponibilità e decisione a condividere il
significato di questo nostro ritrovarci qui attorno ad un Poeta, alla
cui poesia io metto a disposizione la mia voce e la mia sensibilità, per
una conversazione che aggiunge, nel cuore della storia, un altro evento
in cui si incontrano donne e uomini liberi, perché libera è la poesia e
“libertà” si chiama la condizione perché essa, la poesia, possa
esprimersi.
Dedica vuol dire, infine, gratitudine: prima di tutto per Diego, proprio
in quanto poeta, poi per l’Associazione Visione Iblea, per il suo
Presidente Giorgio IEMMOLO e i Soci Fondatori, e gratitudine, non
ultimo, per chi ci ospita, in questo splendido giardino, di questo
magnifico Palazzo Failla, a Modica Alta.
Mi piace raccontarvi, infine, cosa ho imparato della gratitudine. essa
non è piramidale, bensì circolare; cosicché, chiunque entra nel suo
circuito, tocca ed è toccato , ogni volta, con la potenza di mille
benedizioni. Pertanto, il grazie corra e scorra in e attraverso tutti
noi, non semplici invitati, ma soggetti di questo prezioso intreccio di
emozioni e di visioni poetiche.
MANIFESTO POETICO
Se tratteremo questi due brani come manifesto poetico, e come chiave di
accesso alla poetica di “Trasmutazione”, vi potremo trovare un elemento
comune, che si attesterà poi per tutta la raccolta come filo conduttore,
man mano che il lettore ne scorrerà le pagine. Questo filo è
l’ambiguità. L’altro elemento è dato dalla necessaria compresenza di due
prospettive opposte: quella individuale (vedi pagina 23) e quella
universale (vedi pagina 19). Le due prospettive risultano reciproche a
tal punto, che l’una, senza l’altra, perde la sua consistenza e la sua
credibilità. Le due prospettive, con il loro intrecciarsi, rendono
visibile il cambiamento; sta a noi, tuttavia, renderlo comprensibile.
Prima di metterci alla ricerca dell’ambiguità nei versi che stiamo osservando, ne voglio dare una mia iniziale definizione.
Certamente qui non stiamo parlando di quell’atteggiamento teso a
falsificare tutto a vantaggio di secondo fini e di interessi
unilaterali. Tale orientamento di pensiero e di vita rende l’individuo
ipocrita, inaffidabile, inaccessibile e pericoloso; e, alla fine,
banale.
L’ambiguità di cui stiamo parlando è, invece, una strettoia, dentro le
cui pareti, in mille modi e in tutti i momenti, ci veniamo a trovare,
con il rischio di restarne schiacciati, ma con la possibilità, pure, di
trovare proprio lì la via d’uscita che cerchiamo. L’ambiguità è, nello
stesso tempo, via di morte e via di autotrascendenza; è contatto
coraggioso e flessibile con l’ambivalenza delle cose; è promessa di un
premio adeguato: all’opportunismo, per chi sceglie di voler essere furbo
ad ogni costo, o, alla sapienza della vita, per chi decide che
sceglierla e da essa farsi eleggere vale più di ogni altra cosa.
L’ambiguità, così compresa, è presente e diffusa in tutta la raccolta
“Trasmutazione”, sempre critica ed esposta a tutta l’incertezza della
condizione umana e del cosmo. Noi qui, per indagarla, guarderemo solo
dentro l’ottava di pagina 23 e adotteremo non il metodo della critica
letteraria o dell’analisi retorica, dove posso garantire solo un gusto
da dilettante piuttosto che una competenza, ma cercheremo, insieme, di
disegnare un giro epistemologico che ci renda ragione della pregnanza
del messaggio che Diego GUADAGNINO ci presenta in questa ottava, come
pure in ciascuno dei suoi componimenti poetici.
Il primo profilo di ambiguità, pertanto, che incontriamo leggendo “Le
sillabe qui disposte in rima”, consiste nella contrapposizione tra
silenzio e parola.
Se vogliamo indicare le coordinate epistemologiche di questa
contrapposizione e se vogliamo collocare il brano nell’oceano della
conoscenza, possiamo senz’altro dire che ci troviamo nell’area
dell’Antropologia Filosofica.
Ma la nostra lettura, seppure corretta, una volta intrapresa la via
dell’esegesi e dell’ermeneutica, non può fermarsi a metà strada, o,
peggio ancora, solo ai primi passi.
Qui, proseguire risulta inevitabile e significherà scovare un’altra
contrapposizione, nascosta dentro la prima: quella della scelta che deve
operare il poeta in quanto tale: se scrivere per soddisfare il suo
multiforme desiderio, o se scrivere per rispondere - diciamo noi - alla
“missione” o al “demone” della poesia. L’epistemologia di questo secondo
livello si può chiamare Etica.
Ebbene, proprio l’Etica, forse perché guidata dalla interminabile
ricerca di un discernimento tra il bene e il male, genera un’altra
contrapposizione, quella tra la soddisfazione del desiderio e la sua
rinuncia. In termini psicanalitici si evoca, in qualche modo, il famoso
conflitto tra principio del piacere e principio di realtà. Ed è proprio
la Psicanalisi il terzo livello epistemologico, che circola latente ma
potente dentro i versi in oggetto.
Su questo piano dell’alternativa tra soddisfazione o repressione dei
desideri, la sensibilità e la moda attuale si ferma, si tormenta e si
ritiene realizzata, qualunque delle due soluzioni adotti. Arrivati qui,
fra l’altro, la bussola epistemologica impazzisce e non ci aiuta più.
Fermarsi al quadro scientifico della conoscenza della realtà, non
permette di intravvedere alcuna via d’uscita. Dalla permanenza passiva
in questa specie di terra di nessuno può nascere tanta disperazione.
L’ottava di GUADAGNINO che stiano considerando ci indica una piccola
parola che può essere la direzione per la via d’uscita tanto negata. La
parola è “cenere”. Con essa il poeta (la stessa cosa sarei pronto a
dirla del mistico) supera la tridimensionalità dentro cui si muove e si
espande l’epistemologia, e ci apre ad una quarta dimensione: quella del
Simbolo.
Nel caso nostro, simbolo significa far convergere paradossalmente in un
unico punto tutti i “sì” e tutti i “no” che l’umano discernimento può
concepire. Nel caso specifico vorrà dire che i desideri non si
reprimono, perché la loro repressione va contro ogni saggezza della
vita; né però si devono soddisfare ad ogni costo; la nostra società del
consumismo, che è il segno più recente, ma non unico, delle derive nelle
quali l’umanità è capace di gettarsi, ci sta dicendo, con sempre
maggiore urgenza, che ciò porta alla distruzione e alla catastrofe.
I desideri si bruciano. Il profumo e l’energia che se ne sprigiona hanno
il potere di aprire alle dimensioni dell’amore e di tutta la felicità
che esso promette e sa dare.
Prima di passare a qualche piccolo e rapido saggio di rispecchiamento
con il cammino dell’uomo di questa ottava, attraverso delle
considerazioni sul simbolo e sul silenzio, dobbiamo fare due
precisazioni importanti (1).
La prima, di natura metodologica, riguarda il percorso che abbiamo
tracciato: esso equivale ad un modello di progresso nella conoscenza e
nella comprensione raggiunto con la lettura poetica. Come modello esso è
esportabile e adattabile e può aiutare la lettura di ciascun brano.
La seconda precisazione richiede una risposta ad una possibile domanda,
che mi si potrebbe porre, del tipo: “Ma tutte queste cose che hai detto,
GUADAGNINO le ha pensate nel momento in cui ha scritto l’ottava?”,
oppure, la medesima domanda, riformulata nel suo risvolto: “Forse non
sei stato tu stesso che hai disposto in fila una serie di riferimenti
eruditi e poi, tra forzature retoriche e coerenze furbe, li hai
applicati e adattati al testo poetico?”. Troppo giuste queste domande,
esigenti e ineludibili. La risposta che esse esigono deve presentarsi
semplice e complessa nello stesso tempo. Risposta che non può essere
diretta; che non deve essere neanche “a priori” o “a posteriori”, bensì
radicale e rispondente, cioè simbolica (2).
Ecco il mio tentativo di risposta: la poesia è sintesi potente e
pregnante di un attimo di conoscenza ispirata, su un punto della realtà.
In quello stesso punto si incontrano tempi diversi e stratificati;
modalità svariate vi si confrontano e vi si stanziano metodi e ideologie
inedite; vi abitano inoltre tutte le ricerche e le scoperte che, su
quel punto hanno fatto avanzare la conoscenza e la comprensione, come
pure le tracce lasciate da soggetti e da sensibilità dirette e
indirette, da spiriti liberi e curiosi, che nessuna classificazione
potrà mai imprigionare. La poesia ha il potere - come metascienza – di
condensare, nel bagliore di un frammento, tutti quei passaggi di
scienza, superando le distanze dello spazio, del tempo e delle
intelligenze individuali.
Questa è la mia risposta, che, anche se grezza, ho la gioia di
consegnarvi non come difesa di una posizione, ma come modesta
rivelazione.
Dopo quello che abbiamo detto, possiamo riprendere la parola “silenzio” e
identificarla con il simbolo, e ricordarci che, a questo punto, tale
identificazione vale per il suo termine contrapposto, cioè “parola”.
Quando il mio amico Giorgio IEMMOLO, Presidente di Visione Iblea, mi
invitò a presentare Trasmutazione, dopo averlo ringraziato della fiducia
che già mi gratificava tanto, gli risposi che avrei dato la mia
risposta dopo aver visionato il libro. Avuto da lui il libro, mi trovai
sott’occhio la quarta di copertina e ne lessi lo scritto: era il nostro
brano. A quella lettura, dissi immediatamente dentro di me: “ Se
l’Autore di questo libro, che ancora non conosco, ha scritto questi otto
versi, merita che io lo presenti…; forse, ora che ho letto il suo
manifesto poetico, non meriterò io di presentarlo”.
Davo il mio assenso all’invito, trenta secondi dopo aver ricevuto il
libro, anche se l’ho comunicato a Giorgio, per telefono, solo due giorni
dopo.
Quando, poi, una sera di musica lirica, tenutosi in questo luogo, ci
siamo conosciuti con Diego e, nella nostra breve conversazione, lui mi
ha detto che “la poesia è un fatto dell’anima”, allora il mio sì
all’invito di Giorgio si è riempito dell’abbondante conferma della
comunione.
Ora andiamo a rispecchiare la nostra ottava con il cammino dell’uomo,
passando proprio per la porta del silenzio. Con la dicitura “cammino
dell’uomo” qui intendo alludere al panorama universale in continua
espansione, dove tutte le affinità e le differenze si possono
riconoscere e si possono incontrare, senza perdere o confondere la
propria originale e irripetibile diversità, scoprendo invece che
identità non vuol dire solitudine e che originalità non deve significare
chiusura (3).
Il silenzio è il segno del limite della parola e di ogni sforzo
comunicativo, ma è anche l’ambiente vitale da cui “scaturisce” la parola
che dice, la parola che narra, la parola che significa. Quando la
parola, così come ogni linguaggio, pretende di imprigionare i fatti, la
realtà, le cose semplici, e i luoghi dell’anima, allora resta interdetta
e muta. Ma quando l’essere umano dotato della parola, se ne spoglia e,
in totale nudità, si mette all’ascolto del silenzio, allora, come nel
flusso di una magica restituzione, gli torna la parola, che prende la
forma di quelle frasi giuste e di quei linguaggi significanti, capaci di
aprire visioni sullo “spazio veritiero” , senza sosta evocato da
“un’eterna aurora” (Kali-Yuga, pag. 19) (4).
Ascoltare il silenzio è il primo dovere del poeta, ma è anche il suo
grande potere. Ascoltare il silenzio e accorgersi delle cose, guardando
in fondo ad esse, fanno del poeta il punto in cui scocca la scintilla di
un miracolo: la poesia.
E’ questo il merito di Diego GUADAGNINO, il quale, ogni volta che entra
nel silenzio e si inoltra in esso, per uscirne poi con una poesia,
lascia sulla soglia tutta la sua erudizione, che, vi posso assicurare, è
davvero notevole. Ma questo è il paradosso del poeta: più la sua nudità
è radicale, nel varcare la soglia del silenzio, più tutto quello che ha
lasciato fuori corre in suo soccorso per ristorarlo e per rivestire di
forme comunicative la scintilla di poesia che sta recando in mano come
dono per l’umanità.
In funzione del “rispecchiamento” con il cammino dell’uomo, a proposito
del silenzio,propongo tre associazioni, che, si capisce, sono scelte in
funzione alla restrizione di campo che ho concentrato sui versi di
Kali-yuga: “ma la parola, sì, che scaturisce / dal silenzio …”
Traggo la prima associazione dalla colletta della festa di S. Ambrogio,
come la si può leggere nel messale romano di San Pio V (secolo XVI).
Possiamo permetterci questa citazione, senza spostare l’asse della
laicità adeguata al contesto in cui ci troviamo, perché ogni testo
dotato di sapienza, qualunque esso sia, prima di tutto appartiene
all’umanità, ed in questo sta la sua primaria sacralità veramente
universale. Siffatto testo proviene da molto lontano e, prima di
mostraci la sua ricchezza, si offre a noi attraverso la sua forma e il
suo contenuto, proprio come il bambino nella paglia di una stalla, che,
Signore dell’Universo, nascose la sua regalità dietro quella reale
fragilità.
Gustiamoci il testo, per me straordinario - oltre che pertinente a
quanto stiamo trattando in questo momento -, che mi piace riferire prima
nel suo latino originale:
«Intret Spiritus Tuus Bonus in cor meum, qui sonet ibi sine sono et sine
strepitu verborum loquatur omnem veritatem » ( « Entri il tuo Spirito
Buono nel mio cuore e lì suoni senza suono e senza lo strepito delle
parole racconti l’infinita verità»).
Mi limito a far notare il chiasmo tra i due “sine”, come complementi di
privazione, con valore modale, che dà grande forza ed evidenza al valore
del silenzio.
Mi chiedo poi: ma, senza dover fare troppe differenze, se non quelle dovute, non stiamo parlando dell’ispirazione poetica?
Andiamo alla seconda associazione: se apriamo la Bibbia a 1Re, capitoli
17-19; 21 , e 2Re 1-2, vi possiamo leggere la vicenda di Elia, il
singolare profeta dei tanti miracoli e delle molte persecuzioni, nonché
dell’assunzione in cielo su un carro di fuoco, ma, soprattutto, vi
possiamo trovare una sorprendente rivelazione del silenzio. Saltiamo
tutta la vicenda, il cui intreccio narrativo è affascinante e
modernissimo, e andiamo subito al momento in cui il profeta si trova sul
monte Oreb, dove Dio gli aveva dato appuntamento. In questo punto, sul
piano epistemologico, si incrociano Antropologia Culturale, Sociologia e
Psicologia della Religione, Storia delle Religioni ed Esegesi Biblica,
in quanto Elia rappresenta l’uomo educato in una religione per buona
parte ancora primitiva - nella fattispecie, quella ebraica - secondo la
quale Dio abita dentro tutte le manifestazioni della natura, poiché
sfuggono al controllo dell’uomo. Il debole essere umano è in balìa di
tutte le forze della natura, dalle quali quasi mai si può difendere.
Pertanto Dio è nel tuono e nel fulmine, nella tempesta di vento, nel
temporale e nel terremoto. Lì, in quell’appuntamento sul monte Oreb,
capitò qualcosa che mandò a pezzi la pretesa di chiudere Dio in una
definizione. Infatti ci fu il tuono, ci fu il fulmine, ci fu la tempesta
di vento e il temporale, come anche il terremoto; ma, ogni volta Elia
si rese conto che Dio non era in nessuna di quelle manifestazioni delle
forze della natura. A quel punto, nel testo ebraico si trova
l’espressione: “QOL DEMAMA DAQQA”, che in quasi tutte le traduzioni
suona: “Ci fu il mormorio di un vento leggero”, ma che, alla lettera, si
dovrebbe tradurre, come fa il Gray: “Ci fu il suono di un sottile
silenzio”. E lì c’era Dio (5).
Quando GUADAGNINO dice: “ ma la parola, sì, che scaturisce / dal
silenzio …”, lo vedo, come poeta, particolarmente vicino a questa
dimensione di potere di rivelazione che ha il silenzio; lo vedo
particolarmente collegato con esso, grazie alla sua disponibilità ad
ascoltarlo.
Infine, non posso fare a meno di ricordarmi di un lavoro di tesi fatto a quattro mani con una mia carissima collega.
Nella divisione dei compiti, a me, oltre ai capitoli concordati, toccò
la formulazione definitiva del titolo di quella tesi, che fu: “ Tra
silenzio e parola, l’inesauribile nuovo”. Ed è chiaro il motivo per cui
lo sto evocando qui, perché sono già pronto a passare dal tema del
“silenzio”, al titolo del nostro libro, “Trasmutazione”, che ci
interpella a confrontarci, sempre in modo congruente alla poetica di
Diego GUADAGNINO, con il grande tema del cambiamento, tanto nella misura
dell’attimo che corre via, quanto nello sconfinato orizzonte delle ere
che si alternano a cadenze millenarie.
All’ “ambiguità”, come primo elemento della chiave per aprire la poetica
del nostro Autore, ci ha introdotto l’ottava di apertura di
Trasmutazione, ora, alla seconda parte di questa chiave, che è il
“cambiamento”, ci condurrà il sonetto Kali-Yuga.
Non ci dedicheremo ad un’analisi dettagliata del testo; non metteremo in
evidenza le contrapposizioni su cui è impostato, come quella tra carne e
mistero, tra verità e illusione, tra luce e oscurità; non metteremo
neanche in evidenza l’aspetto inquietante della violenza che,
assolutamente incontrastata, domina l’universo, con la sola compagnia
della paura. Assumeremo invece, come pretesto-guida per la nostra
comprensione, la metafora del Velo di Maja che circola in ogni parola di
questo sonetto, con il suo senso di limite, di illusione, di impotenza,
per tentare di scoprire con il poeta che proprio attraversando questo
fallimento individuale e cosmico può essere rintracciata, ancora una
volta, una via d’uscita convincente e forse risolutiva. Ma, insieme alla
metafora indù e shopenaueriana, teniamo ancora più presente il titolo
del sonetto: “Kali-Yuga”, ovvero “L’Età Oscura”, per tentare una nostra
comprensione del titolo: “Trasmutazione”.
Stiamo muovendo i primi passi nel nuovo millennio appena iniziato. Ci
siamo lasciati alle spalle i due millenni, passati sotto il segno dei
Pesci, e siamo entrati nell’era dell’Acquario. Basti andare a fare
qualche ricerca sulla letteratura New Age, per avere un’idea di quante e
quali aspettative di cambiamento fervano nel nostro tempo, sotto le
ceneri di una stanchezza transitoria ma generale e che soffoca ogni
slancio, a causa della sua stagnanza. Una stanchezza accumulata non nei
millenni, ma in pochissimo tempo: in quest’ultimo secolo, praticamente,
nel quale si sono succedute novità al ritmo di una folle e incontrollata
accelerazione, che ancora non accenna a finire. L’equivoco di oggi sta
nella confusione tra il vero cambiamento, sempre meno conosciuto ed
immaginabile, e tale frenesia.
GUADAGNINO, in Kali-yuga, nei primi due versi, parla di “sabbie del
pensiero” tra le quali è “scavata” la “minima dimora” della “carne”,
cioè dell’umanità, destinata perciò ad essere “divorata” dagli eventi e
ad essere “dispersa nel mistero”, quando sente invece con impellenza
vitale di dovervi e potervi accedere.
E’ l’umanità nuova l’ago della bilancia del cambiamento. Non l’umanità
vecchia, quella fatta di sola carne, tradita e abbandonata dal pensiero;
o quella fatta di solo pensiero, esaltato e astratto per aver lasciato
la carne da un’altra parte (6).
Kali-yuga, ad una prima lettura, fa impattare il lettore con il velo
dell’illusione e con l’oscurità dell’impotenza e del dolore. Se si legge
una seconda volta, Kali-yuga ci regala una prima illuminazione, sotto
la forma di un radioso sospetto sulla vera natura del cambiamento, che
non sta nel succedersi delle ere e degli eventi, ma nell’elevare a
consapevolezza “l’espressione dell’uomo interiore e inconscio che si
trasforma” – come dice JUNG (7).
La terza lettura ci può regalare una seconda illuminazione, non più
nella forma di un benefico sospetto, ma come compito e come invito ad
assumersi la responsabilità del cambiamento, ad accettare di essere
“nesso psichico” tra passato e futuro (8).
In Kali-yuga – come in tanti altri passaggi della raccolta
“Trasmutazione” – GUADAGNINO ci lascia sotto il “maledetto / cielo di
quest’epoca” che “ci oscura”.
Ci lascia così, perché tale è la situazione, ma, se continuiamo a
leggere bene, non chiude qui. GUADAGNINO non chiude mai nessuna
possibilità di svolta, anche quando assume e prospetta agnosticismo e
nichilismo. In questo sta il suo coraggio aperto e propositivo, la sua
onestà intellettuale e la sua capacità assoluta di rispetto.
Nell’oscurità di quest’epoca, il poeta, in Kali-yuga, ci lascia uno
spiraglio, allorquando ci affida la sospensione di ogni decisione
definitiva sul senso della realtà, attraverso espressioni come:
“mistero”, come “l’aldilà del senso”, come “spazio veritiero”; ma anche
con il “cielo di quest’epoca”, che può sempre essere sostituito da un
altro cielo o dal cielo di un’altra epoca, se si è così bravi da trovare
indizi convincenti o se si ha la fortuna di vederne chiare le ragioni
profonde.
Volutamente lascia sospesi questi simboli, quasi per non cadere in
qualche etichettatura o confessionalismo. Consegna invece al lettore il
compito di conforntarvisi nella sua libertà e nella sua responsabilità,
svolgendo il suo ruolo di “nesso psichico” tra passato e futuro, capace
di far cadere le macchie della luce malata e gli inganni delle tenebre
malevole, per far incontrare il positivo della luce con il positivo
delle tenebre, o, come lo direbbe HILLMAN, il positivo di Puer e di
Senex, di Mercurio e di Saturno, di Futuro e Passato, nell’ “unione
degli uguali” (9).
Ora possiamo raccogliere la sfida interpretativa che ci viene lanciata dal titolo “Trasmutazione” e tentarne una comprensione.
La parola in sé vuol dire: “ Modificazione accentuata dell’aspetto o del
comportamento”; in fisica nucleare, vuol dire: “Reazione per cui un
nuclide si trasforma in un altro”. E, se guardiamo al verbo
corrispondente, possiamo cogliere anche la sfumatura del “travasare”
(10).
Guidati da questa base di significato universalmente condiviso, possiamo
intuire le intenzioni del poeta che, forse, vuole descrivere una
progressione il più completa possibile del cambiamento. Questo, in tal
modo, va dal meccanico succedersi degli eventi, fino alla porosità di
chi sa cambiarsi e sa far cambiare tutto intorno a sé, passando dalla
mutevolezza individuale, alla sintonia universale.
Potremmo anche cogliere, per finire, un’altra sfumatura del cambiamento,
così come la concepisce JUNG - anche se per sistemarla in modo
congruente nel presente saggio, si dovrebbe prima approfondire lo studio
delle poesie di GUADAGNINO e avere un confronto con lui - : “ Noi
viviamo nel kairòs, nell’attesa di una metamorfosi degli dèi, ossia dei
principi e dei simboli fondamentali” (11).
GUIDA
Ci resta la terza parte della nostra conversazione, quella che abbiamo
chiamato “Guida” e che sarà molto breve, per il fatto che questo non è
uno studio ma un saggio introduttivo al libro di Diego GUADAGNINO,
“Trasmutazione”.
Senza dire che la vera guida se la dovrà costruire il singolo lettore
con la lettura ripetuta e curiosa delle poesie in esso contenute, con lo
studio e la riflessione sul testo sulla sua semplicità e sulla sua
complessità, nello stesso tempo, utilizzando, magari, se lo ritiene
utile, i piccoli suggerimenti di metodo distribuiti nella presente nota.
I fili che intendo intrecciare per una guida allo studio di
“Trasmutazione” e della sua poetica, sono, per me e per il mio piano di
studio, senza che siano neanche tutti e neanche i più importanti: il
filo dell’ “Albero”, il filo della “Sicilianità” e il filo dei
“Maestri”.
L’albero, l’orto, la campagna e le sue mutazioni, l’autunno sono tutte
figure, nella poetica di GUADAGNINO, dove natura, poesia e filosofia
sono unite in un solo sospiro, come una linea che parte dalla mente, o
che ad essa giunge non si sa da dove, e che, nel suo tragitto, aggrega
forme e colori, senso e non-senso.
Leggendo una di queste poesie dell’ “Albero”, inizi con il disegno
agreste o di botanica - sia esso il nespolo, o l’ibisco, o la rosa, o la
pergola, o il frutteto o i carrubi – e finisci che nella tua anima si è
stagliato un “mandàla”:
LA POESIA
E’ l’anima che a se stessa si disvela
Decifrando nel vissuto il suo mandàla;
l’anima che dal confine oscuro anela
liberarsi dal tempo che l’ammala”.E’
l’ “Albero filosofico” (12), come direbbe JUNG, con una sensibilità
che, nel contesto del nostro discorso qui fatto, ci permettiamo di
chiamare “siciliana”.
Infatti l’altro filo è la “Sicilianità”, espressa da GUADAGNINO secondo
le modulazioni tipiche dell’universo agrigentino. Basti leggere, in tale
prospettiva, il carme “Il luogo karmico”, per vedere stagliarsi da esso
un altro mandàla ancora più radicale, che dilaga prima e dopo in tutta
la raccolta, caratterizzandola inevitabilmente in ogni sua sfumatura.
Infine i “Maestri”: Borges, Leopardi, Pirandello, Kafka e il Maharal di Praga (13) e, per ultimo Empedocle.
Quest’ultimo insiste ripetutamente nelle pagine di “Trasmutazione” e mi
rivela un mito nuovo: dal mito dell’esaltazione della sicilianità, come
universo in sé completo, per avere il mare intorno e il fuoco al centro,
al mito della semplicità: “E’ l’uomo più ordinario / quella che alla
fine / risulta il più divino” (54), ( 14).
CONCLUSIONE
Non so se si usa, ma io lo faccio; concludo dedicando al poeta una sua poesia ed esprimendo un augurio al lettore.
Al poeta dedico “Mendico d’assoluto”, che si trova a pagina 59 del suo libro:
D’altre chiare distese d’altre stelle
Senza memoria e senza chi mi dica
Se l’istante sia di tenebra o di luce,
mendico d’assoluto, nel villaggio
policromo del tempo vado e chiedo
fissato col mio cielo nell’agire
di fragile invenzione della vita.
Al lettore auguro di arrivare a trovare quella poesia, o a farsi trovare
da essa, nella quale possa sentire con tutto se stesso – dalla pelle,
al cuore, alla mente, alla memoria, all’intelligenza, alla volontà – il
gusto che produce quell’incontrarsi magico di parole e ritmo. Quella
sarà un’esperienza totale di “comprensione”, come abbraccio che si dà e
come abbraccio che si riceve, e questo io, caro lettore, ti auguro di
tutto cuore.
NOTE
Martin BUBER, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 1990.
Louis-Marie CHAUVET, Simbolo e Sacramento, LDC, Torino, 1990, soprattutto pp. 11-109: “Dal metafisico al simbolico”.
Martin BUBER, Il principio dialogico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1993.
Giuseppe COCCHIARA, Il linguaggio del gesto, Sellerio, Palermo, 1977
Michel MASSON, Elia. L’appello del silenzio, EDB, Bologna, 1993.
James HILLMAN, Puer aeternus, Adelphi, Milano, 1999, pp.53-56.
ibidem, p. 54.
ibidem, pp. 54; 79-84; 116-133.
ibidem, pp.112 e ss.
DEVOTO-OLI, Il Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 2002, p. 2185.
Citato in HILLMAN, c.s., a p. 54.
Carl Gustav JUNG, L’albero filosofico, Boringhieri, Torino, 1983.
Andrè NEHER, Faust e il Golem. Realtà e mito del Doktor Johannes Faustus e del Maharal di Praga, Giuntina, Firenze, 2005
Sergio
CAMPAILLA, Controcodice, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2001,
pp. 241-259: “Partita a scacchi con Etore Majorana”.
Modica, 14 settembre 2008
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