sabato 23 marzo 2013

ORAZIO GIANNI', Come ho scoperto la poesia di Diego Guadagnino

 Recensione











Ho scoperto la poesia di Diego Guadagnino per caso, una calda mattina d'estate, in un bar-tabaccheria-ricevitoria-edicola. Posto, non proprio in bella mostra e non in buona compagnia, in un precario espositore, tra l'ultimo albo di Tex Willer e una guida illustrata alla gastronomia iblea, questo libretto rosso mi incuriosisce, per cui do una rapida scorsa fermando l'attenzione, in particolare, su un paio di epigrammi della sezione “Nessuno sfugge al niente”. Faccio in tempo a gustarne uno: “Un dio umorista e televisivo/che nel bel mezzo delle malefatte/si rivela e grida/SIETE SU SCHERZI A PARTE.”

Torno l'indomani e, bevuto un caffè, ridò un'altra sbirciatina e stavolta noto con piacere che parecchie liriche si avvalgono di un sapiente gioco di rime, cosa che non manca di meravigliarmi, stante una sorta di ostracismo, assolutamente ingiustificato, nei confronti di questa scelta stilistica, da parte dei tanti fautori del verso libero, che riducono tutto a cuore-amore e, in maniera spesso errata, associano la rima ad una poesia di seconda mano, facile, orecchiabile, a una poesia della domenica, insomma.
Vado alla cassa pago dieci euro e porto via il quotidiano e le poesie di Diego Guadagnino, un autore che non conosco e che comincerò ad apprezzare, in piena canicola, sotto l'ombrellone a dispetto dell'ultima indagine del commissario Montalbano o dell'autobiografia di qualche fighetto televisivo del momento.
Scopro che Diego è amico di un mio amico, il maestro Fratantonio, che ci presenta e mi offre l'opportunità di complimentarmi con lui per le sue liriche: mi chiede di parlarne in occasione della presentazione del volume, all'interno della mostra del maestro Fratantonio, presso la galleria “La Calandra”; io replico di non essere né un critico né un recensore né un addetto ai lavori, insomma . Lui candidamente controreplica che non cerca niente di tutto questo, ed eccoci al punto.
La mia, quindi, è la testimonianza di uno che ama la poesia e quella di Guadagnino è poesia per tutta una serie di ragioni che vanno dalla solidità culturale, alla profondità dei temi, dal rigoroso controllo della parola, alla musicalità del verso, dalla originalità stilistica e metrica, alla serietà dell'intento poetico.
“Non voglio la parola che stupisce/E resta ferma a cosa vile e vana....
Viene da pensare al cavalier Marino, “il gran re del secolo” e alla sua poesia, volta a suscitare stupore e meraviglia:”chi non sa far stupire vada alla striglia”. Poetica stravagante, fatta di acutezze, di ingegnosità, arguzie, lontana dal sentire di Guadagnino, che propugna invece una poesia volta alla ricerca di una libertà intesa come risposta ai tanti misteri della vita e dell'animo umano.
Questa sua ricerca, sempre misurata, mai disperata si muove su un terreno pregno di suggestioni letterarie che richiamano i simbolisti, tanta poesia di buona parte del nostro Novecento, (Quasimodo, Montale), qualche venatura crepuscolare e tanto Pirandello.
A me pare, tornando all'epigramma sopra citato, di vedere nel dio umorista televisivo il puparo che, alla fine dello scherzo, strappa il cielo di carta e rivela nelle sue miserie e nelle sue angosce quella enorme pupazzata che è la vita.
E suggestioni pirandelliane mi pare di cogliere negli altri epigrammi, condotti tutti sul filo di un umorismo garbato, che altro non è, per il drammaturgo agrigentino, se non il sentimento del contrario, pronto a cogliere il lato serio e doloroso delle cose, attraverso un sorriso intriso di pena e compatimento.
Fra tutti:”Tra l'essere/ e l'apparire/sceglie/di scomparire”: mi sembra di vedere un Mattia Pascal che, nel tormentato contrasto tra maschera e volto, tra realtà e apparenza, tra essere e sembrare risolve il tutto in una fuga verso il nulla, finendo, di conseguenza con il non vivere e quindi con lo scomparire. Mi sembra, altresì, stante la garbata ironia che permea tutta questa sezione, di trovarmi di fronte a Campanile e alle sue tragedie in due battute.
In sostanza Guadagnino tende lo sguardo alla vita, ne coglie i molteplici risvolti spesso amari e dolorosi, senza, comunque, sottolineature disperate, anzi stemperando il tutto in un sorriso benevolo e indulgente, anche quando la riflessione sull'esistenza e sui misteri che la caratterizzano, non può ignorare il caleidoscopio di sofferenza, di solitudine, di dolore, di stupidità, di ferocia e via dicendo che lastrica il cammino verso il riscatto verso la libertà, in virtù di una trasmutazione che rende gli uomini veramente tali.
Leggiamo, ad esempio, “ Scalo ferroviario” splendida metafora della vita, dei sogni e dei bisogni, spirituali e non, di una umanità volta all'effimero attraverso una corsa affannata verso una felicità solo apparentemente raggiungibile.
Storia vecchia, che richiama alla mente una musicale ottava ariostesca dove si sottolinea come la ricerca di qualcosa che dovrebbe essere la felicità, fa smarrire il senno: “Altri in amar lo perde, altri in onori,/altri in cercar scorrendo il mar ricchezze,/ altri ne le speranze de signori,/altri dietro alle magiche sciocchezze,/altri in gemme,altri in opre di pittori,/ed altri in altro che più d'altro apprezze.....”
Così Guadagnino:”C'è chi ha perduto il treno dell'amore/chi della gloria e chi della fortuna/qualcuno c'è che guarda con timore /se arriva il convoglio della luna”.
La prigione che intrappola l'uomo dell'Ariosto sembra intrappolare anche l'uomo di Guadagnino, che però offre una via di fuga, attraverso l'uccisione del sogno, del piagnucoloso crogiolarsi nell'autocompatimento, con un balzo verso la luce, allo scoperto, trasformando la sterile attesa in azione. Un messaggio virile che l'autore sintetizza nella quartina finale:

Ed io che non sono mai partito,
per avere mancato ogni partenza
da quella sala pure sono uscito
e felice ne vivo l’esperienza.


Francesco De Sanctis scrisse: “ La poesia è la ragione messa in musica”. Penso che Guadagnino abbia realizzato con pienezza questa operazione stante, da un canto, la robustezza riflessiva in ordine ai problemi della vita, che potrebbe essere di pertinenza del filosofo, dall'altro la creazione di uno spartito musicale in cui confluisce la sua sensibilità poetica, la sua avventura spirituale, il suo viaggio interiore.
Afferma Samuel Taylor Coleridge: “ Nessuno è mai stato grande poeta senza essere nello stesso tempo un profondo filosofo”.
Non spetta a me certificare il grado di grandezza poetica e di profondità filosofica di Guadagnino. A me basta sapere che Diego è poeta-filosofo.

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