domenica 24 marzo 2013

DIEGO GUADAGNINO, Mostra di pittura di Salvatore Fratantonio (Modica, 2-16 dicembre 2006)

Col passare del tempo Salvatore Fratantonio riduce sempre più lo scarto tra biografia e pittura, sempre più lasciando trasparire l’itinerario psicologico che presiede alla sua opera. Immagini e paesaggi nella loro valenza simbolica subiscono significativi mutamenti di forme e prospettive. Il carrubo, mitico segno individualizzante del suo mondo, albero della vita in ogni senso, in cui ha insistentemente voluto intravedere la propria identità, da presenza viva e solitaria delegata ad animare da lontano gli estatici silenzi degli Iblei, ora viene rappresentato a distanza così ravvicinata da diventare il solo protagonista della tela, rivelandosi, con le sue intricate morfologie, l’inesauribile risorsa semantica a cui l’Artista attinge, l’alfabeto poetico del suo microcosmo.
E’ questo prevalere della introspezione sulla visione che fa scorrere sotto i nostri occhi un baudelairiana foresta di simboli, un teatro animistico e fiabesco in cui affiorano, irrompono, si esibiscono forze e sentimenti della mutevole alchimia del vivere calata nel percorso personalizzato di una vita.
In tale contesto si lascia indovinare un uomo che bene sa risolvere e ricucire l’inevitabile confronto col negativo, la necessaria esperienza del dolore in una positiva continuità dell’esserci.
A titoli come La scure, La resa, La caduta se ne alternano altri come Incontro, Alberi innamorati, In un abbraccio, contenuti in apparenza contrastanti che si armonizzano comunque nella sintesi esemplare di Frattura, dove sotto il braccio del carrubo irrimediabilmente spezzato e tagliato fuori dalla linfa che lo ha cresciuto, appare una chiazzata pellicola di verde, messaggera di una vitalità che continua a pulsare ininterrotta nella parte superstite del tronco.
Sulla stessa coerente linea di lettura, nasce la più recente Lacerazione, con la quale l’Artista ci propone in primo piano un tronco nero antropomorfo, drammaticamente teso nella sua ramificazione allusivamente multiforme, colto nella perdita di equilibrio che va verso la caduta, per far posto ad altra identità serenamente dorata e salda sullo sfondo celeste dell’infinito.
Un sentimento, quello dell’infinito, certamente non estraneo al Fratantonio paesaggista e che ha una delle sue più compiute espressione ne L’isola e la luna, opera di rarefatta atmosfera nella quale non sai dire se ti trovi al primo passo della sera o nell’oscurità che impallidisce nel preannuncio dell’alba, perché, come nella Eternità di Rimbaud fatta del “mare convenuto con il sole”, anche qui l’ora e gli elementi sfumano i loro contorni consueti, per fondersi in una cosmica quiete senza tempo.

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