Salvatore Fratantonio appartiene a quel nutrito gruppo
di intellettuali siciliani che hanno lasciato il Sud per il Nord,
individuando nel capoluogo lombardo un crogiuolo della storia con
potenzialità di orizzonti negati a quella terra d’origine prigioniera di
una dimensione pigra e sonnolenta alle tensioni del divenire. Questa
parabola esistenziale segna in misura preponderante la sua identità
artistica e la sua ricerca figurativa, entrambe convergenti
nell’eleggere la Sicilia ad archetipo ispirativo e a polo dialettico dei
contenuti della sua opera.
Isolano, nativo di Modica, Fratantonio si porta
dentro una vocazione alla solitudine che fagocita il suo vissuto
metropolitano e lo porta ad adottare sul piano espressivo le atmosfere
attonite e remote della scuola metafisica. Nascendo all’insegna di tale
sentire, le sue solitudini, sospese tra memoria e disincanto, tra
contemplazione mitica e lacerazione storica, evocano da un lato l’aspra
dolcezza della campagna iblea, dall’altro l’angosciante vuoto di spazi
stretti tra grattacieli e casermoni di città spettrali, offrendoci
variazioni tematiche sulla solitudine come conquista o come anelito al
recupero della propria identità e la solitudine subita dell’uomo
depauperato di se stesso.In questo vivo tessuto d’emozioni tra passato e presente, tra mito e storia, e, ci sia consentito, tra Modica e Milano, Fratantonio sembra ripercorrere e tradurre nei colori della sua pittura le polarità e i connotati lirici dell’opera di un altro figlio illustre della sua città, Salvatore Quasimodo, per cui non ci stupisce se, a un certo punto, la convergenza si fa omaggio nel titolo Curva Minore dato a un paesaggio ibleo.
Ma non sono soltanto i dati anagrafico-esistenziali ad accomunare il poeta di Ed è subito sera e il pittore delle solitudini, una più profonda e autentica familiarità di ricerca e di linguaggio li unisce: come il Quasimodo ermetico, anche il metafisico Fratantonio elabora per sottrazione, costruisce per eliminazione, col risultato che i suoi mari, le sue dune, le sue colline, i suoi carrubi, non appesantiti o nascosti da elementi accidentali, si stagliano sotto i nostri occhi nella loro muta essenzialità.
E noi, oggi, azzardiamo in tali simboli un possibile messaggio dell’artista siciliano che alla civiltà dello spreco contrappone e, soprattutto, propone la sensibilità dell’essenziale.
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