“Che orrore! che orrore!” Con queste parole, cariche di mistero, muore l’altrettanto misterioso Kurtz, nelle ultime pagine di Cuore di tenebra, il romanzo
in cui Joseph Conrad volle descrivere i massacri compiuti dai bianchi
nelle foreste del Congo in nome del dio denaro. Dopo più di un secolo,
non possono essere diverse le parole che ci salgono alle labbra nel
considerare i primati che detiene la Repubblica Democratica del Congo.
E’ il paese con il maggior numero di
bambini soldato; in poco più di un decennio sono stati uccisi oltre sei
milioni di abitanti; lo stupro contro le donne è norma tra le milizie; i
bambini orfani sono più di dieci milioni; molti vengono fatti lavorare
nelle miniere, dove lo sfruttamento del lavoro minorile è la regola,
facendo più di duecentomila vittime ogni anno. Sono dati sufficienti per
dire che il Congo è il luogo dove la cattiva coscienza dell’Occidente
da oltre centocinquant’anni dà il peggio di sé.
Questa breve notazione
introduttiva è necessaria per poterci accostare immunizzati alle
immagini accattivanti che il fotografo Guido Cicero ci propone per
raccontare un suo viaggio in Africa, compiuto nel 2010 al seguito di una
delegazione della diocesi di Noto. Quando il talento predomina sullo
strumento, come nel caso di Cicero, lo scatto riesce a cogliere lo
spirito che sta dentro la figura; e dietro questi volti intensamente
espressivi c’è, e si sente, l’interiorità dell’Africa, un’interiorità
fatta di incondizionata adesione alla vita come valore dominante su ogni
altro, nonostante le offese atroci della storia.
Bisogna tenere viva memoria del
passato e del presente del popolo congolese non solo per non vedere
queste immagini stupende come un tentativo di edulcorare una realtà che
nella sua essenza storica e politica ha ben poco di stupendo; ma anche
per ponderare e scandagliare la forza della vita espressa da quei visi,
che ci commuovono, non per il paternalismo verso il buon selvaggio a
cui ci ha educato un malinteso romanticismo, ma per la nostra miseria di
uomini strozzati dall’eccesso di beni materiali e divenuti incapaci di
felicità. Gli adolescenti, le donne, le madri, i bambini ripresi da
Cicero certamente non sospettano quanto hanno da insegnare alla nostra
stanchezza di vincenti senza gioia. La ricchezza di cui le corporations
occidentali non potranno depredarli risiede nella coincidenza tra essere
e coscienza, un sentire collettivo, questo, che l’artista ha saputo
cogliere con la foto dal titolo Oceano di mani”, dove si vede una
folla di bambini alzare la mano, aperta, distesa, ben visibile, leale.
Si forma un’immagine che brulica di volti e di mani.
Non sono mani che chiedono, come ci si aspetterebbe dalla loro
condizione di bisogno; non sono mani che minacciano, come ci si
aspetterebbe dalla loro condizione di sfruttati, sono mani che salutano,
e ci sorprendono con la loro disarmante gioia di esistere e
comunicare.
“A piedi nudi verso
la speranza…” è, invece, il titolo della foto di un bambino appresso a
un cerchione di biciletta, lieto e sicuro di sé, circondato da un alone
luminoso e davanti a una strada che si apre ampia e libera alla sua
voglia di correre: un’immagine perfetta della fiducia in se stessi
convogliata in ansia di futuro.
Un sapore
di quotidianità sana e positiva domina le “Venditrici della savana”
e le “Venditrici a Bingo”, dove diventa protagonista anche
l'’inconfondibile abbigliamento delle donne africane fatto di colori e
fantasie sgargianti, interamente proiettati verso l’esterno a esprimere
un modo di essere che è essenzialmente comunicazione.
Cicero non è fotografo sofisticato,
perché non ha bisogno di ricorrere alla sofisticazione per trasformare
l’immagine in messaggio forte e allusivo. La sua capacità, la sua
bravura, il suo talento sono tali da riuscire a cogliere dalla semplice
naturalezza dei soggetti i particolari e gli attributi che li impongono
alla nostra attenzione con la poesia e il mistero dell’arte. Si
guardino, a conferma, “Spiragli di luce” e “Innocenti e luminosi”: gli
occhi infantili emergenti dal nero o dal buio ci attraggono in un
vortice allusivo di significati, simboli, miti, circostanze, sentimenti
come succede solo davanti alle opere in grado di far vibrare i nostri
archetipi.
“Emozione Africa”, non c’era titolo
più appropriato per questo reportage, con cui il nostro fotografo ci dà
un’istantanea della dolcezza e dell’orgoglio di
quell’anima africana, che attraverso la voce di un suo poeta ha saputo
dire all’uomo occidentale: “La tua frusta mi ha tolto la paura della
morte”.
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