Sentire e pensare sono il risvolto della identica medaglia, su cui Guadagnino torna a distanza di oltre un decennio con la raccolta che lo vide esordire nel luglio del 2007 per i tipi di Libroitaliano Word.
Fu un esordio tutt'altro che silenzioso, nel ritornare con la memoria alla più che lusinghiera accoglienza che la silloge poetica ricevette da parte di attenti e meticolosi critici.
L’opera adesso si ristampa con l'aggiunta di altri pezzi risalenti al periodo in cui germinarono i componimenti della prima edizione (La morte di Pessoa, Casanova, Guadagnarsi la vita, Memoria di ritratto) e contenuti in Apocrifi,UtopiaEdizioni, marzo 2011. Sono pezzi che rendono completo il mosaico in quanto perfettamente in armonia con le pagine riproposte: dal non accorgersi della morte del lusitano, al senza vita vivendosi del libertino veneziano, al chiedersi della vita che si guadagni, al vivere accecato come unico resto della mente.
Del Guadagnino filosofo risultano numerose tracce, anche per i trascorsi letterari quali ad esempio Il fabbro e le formiche, memoria del politico, avvocato e letterato Domenico Cigna (2011) e soprattutto per I filosofi della Quarta Sezione (2013).
Coerentemente con quel dettame etico del raccontare pensando o del pensare raccontando, la razionalità, perno di una filosofia che intende essere critica, non può trovare fondamento che nel libero ed eticamente cristallino pensiero di Baruch Spinoza, propugnatore del metodo assiomatico-deduttivo della geometria euclidea che Guadagnino abilmente prende a modello.
Del Guadagnino che ci consegna ciò che sente, nel rivisitare la parola-coraggio alla base di Trasmutazione – trasmutazione nell'accezione poetica profonda – apprezziamo il tentativo di fondere nel sentimento (non solo nella sensibilità che rischia l'epidermica superficialità...) le durezze della vita, dell'esistenza, dell'esser-ci e dell’essere gettati in questo mondo.
Tale sforzo si concreta non con un difficile, contorto, aggrovigliato e quasi incomprensibile stilema, bensì con una metrica che antepone al modernismo di maniera la gentilezza delle assonanze classiche. E ciò si evince in qualsiasi forma con cui la parola, nell'opera in questione, diviene significanza: quartine, ottave, sonetto, epigramma.
Quello di Guadagnino è un poetare chiaro, dunque, e che manifesta uno stile colto e ricercato, finalizzato ad impreziosire la parola, che in tal modo diventa poesia autentica.
Tutto ciò se rimaniamo nel contesto della forma.
Nella sostanza, il poetare si esprime nella volontà di ergersi dai danni, o dai mali della vita, per approdare ad una sorta di palingenesi laica.
È la testimonianza nuda e cruda, netta, senza barocchismi di sorta, del passaggio da uno stato (miserrimo) a un altro stato (nobile). Un arricchirsi con la parola-materia che si fa parola-oro.
Non può, dunque, che essere, la poesia di Guadagnino, testimonianza-manifestazione di un'esistenza inquietante, in quanto mai scontata e men che mai banale.
Diego Guadagnino “racconta”, ed è un novellare basato sulla coscienza che ha (l'arduo) compito di dar conto dei soprusi e dei furti che la vita (diremmo pure la storia, con le sue dure repliche) riserva. Ecco perché ci convince l'idea di paragonare il percorso del poeta a un fascinoso viaggio del pensiero nell'avventura della poesia. Perché questo, anche se non solo questo, è il dono che il poeta si (e ci) concede!
Lo spazio-tempo, in questo contesto, è medietà perché l'uomo, il Primo Uomo, è emblema di ciò: fango-miseria e nobiltà-grazia.
Quindi la menzogna (della notte, notte dei tempi, verrebbe da credere con Gesualdo Bufalino) dell'uomo ai primordi, padrone del creato, può e deve diventare altro: in ciò è riposto il mistero dell'elevarsi nella trasmutazione.
CosìLa carne adula ciò che la divora / e vana la disperde nel mistero. /…/nell’aldilà del senso che lavora / su forme d'ambra come fosse il vero.
L'età oscura, il Kali-Yuga degli indù, fa da apripista al fascinoso viaggio del pensiero nell'avventura della poesia, ed è lo spirito del tempo da cui Guadagnino parte per la trasmutazione. I primi passi sono quelli dettati dalla parola che scaturisce dal silenzio.
La poesia – l'abbiamo premesso – è un sentire, esattamente quello che Diego ci spiega: prospettiva/ volgente a morte per suo mutamento.
È una liberazione dal peso della carne (la greve materialità) contro cui occorre combattere da indifeso:invano cerco libero riposo / in una trascendenza senza peso.
Allora il senso della salvezza dal grumo del bisogno dove risiede?
La risposta è senza tentennamenti: Verrà la luce per trasmutazione. Solo così potrà scomparire l'inferno... solo vedendolo, conoscendolo, sconfiggendolo.
Se la prima parte della silloge è una riflessione su se stesso, con la seconda parte il discorso si amplia. Diego si rivolge agli altri, a quei suoi similiche incontra lungo il fascinoso viaggio, scoprendosi lui e i suoi simili, nessuno escluso, figli dell'assenza.
Con i similisi condivide non la conoscenza bensì la reminiscenza, una sorta di eco che ritorna, una voce lontana donataci da cornucopie che sanno di luoghi esotici o da conchiglie che ci parlano di mari lontani: una memoria che, insomma, si riappropria di se medesima e nell'incrociarsi con gli altri, diventa da individuale universale. Un' elevazione di trasmutazione in nucee in atto, in re e dunque nelle cose.
Così l'Adamo – fango/miseria (felice?) - può correre sul filo del rasoio, ovvero sul sentiero/ che separa l'inganno dal misterochiedendo venia per il peccato originale, ma senza tuttavia sfiorarecon l'ombra della colpa / la vita avuta in dono.
Così la buona morte è quella dell'Uomo, inteso come genere umano, liberato dallacreta (il fango), nell'atto in cui coglie il frutto d'oro della vita.
A questo punto il fascinoso viaggio/avventura del pensiero giunge al suo epilogo. Tocca l'acme in un congedo senza rimorsi che esplicitamente fa dire al poeta: ho scritto sopra un muro d'emozioni / cercando un varco verso la realtà.
È, in buona sostanza, quello che Guadagnino ci consegna, non un disperato addio di commiato, semmai è un saluto che concede uno spiraglio. Tutt'altro che il perdersi in un cieco vicolo, bensì il ritrovarsi con una via d'uscita a portata di mano.
A noi sembra una soluzione accettabile, quella che Diego ci propone, in quanto ineludibile: lo spiraglio genuinamente poetico.
Intendiamo per spiraglio poetico tutt'altro che una fuga. Guadagnino esclude, non accetta la fuga dalle responsabilità, dal tempo, sia pur reo e colpevole, dalla storia...
In tal modo, l'anima dal confine oscuro anela / liberarsi dal tempo che l'ammala, in unadimensione esistenzialedovenessuno/ sfugge alniente/ impunemente...
La chiosa finale rimanda a versi profondamente e autenticamente leopardiani, un appiglio poetico profondo e sicuro a cui Diego si affida: Che fatica, / risalire la china della vita / e scoprire alla fine che la meta / era questo ritrovarsi / alieni sul pianeta.
Alieni sì, per dire estranei rispetto al ciò che ci circonda, ma gettati su questa terra dove quell'esser-ci di heideggeriana memoria ci riconsegna mista al dolore la speranza, quella speranza che fece credere al sommo poeta recanatese che anche nella sciara può fiorire la ginestra.
Ed è l'identica cosa asserire che noi, microcosmo, destino individuale e frammento dell'Universo, siamo il Nulla nel (e del) Niente cosmico!
Post scriptum:
Un consiglio per i Lettori: Trasmutazionesi può leggere indistintamente con la calma del mare di luglio negli occhi o con l'invernale tempesta terrena nel cuore. Con la luce (l'ombra residua del sole che sorge) o con il buio (la luce del tramonto che muore).
Noi abbiamo provato a farlo in entrambi i modi, ed è un'estasi, quella che Diego Guadagnino ci consegna donandoci il senso del gusto (amaro-dolce) della provvisorietà nell'Eternità (ergo: nella provvisorietà dell'Eternità).
Nicola Colombo
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