Nel passare dal “contraddisse” al “si contraddisse” (ammesso che una linea di demarcazione netta tra la forma attiva e la riflessiva del verbo nella fattispecie possa sussistere), nel lasciare l’oggettivo per il soggettivo, si esce dalla critica letteraria per entrare nell’aneddoto biografico. Una vicenda che sembra svolgere il tema della contraddizione in maniera esemplare, e diremmo quasi romanzesca, è quella della pluriennale amicizia che legò lo scrittore racalmutese al poeta spagnolo, e allora prete, Gonzalo Alvarez Garcìa, che di Sciascia dipinge un ritratto alquanto inatteso e apparentemente paradossale, sostenendo in proposito:
“…Leonardo soffre di una specie di ‘complesso di Edipo spirituale’ che travaglia e rende irrequieta la sua anima. Forse ritroverà la pace solo quando ritornerà alla fede infantile. Un giorno o l’altro Sciascia chiederà il conforto dei santi sacramenti. Anche Consolo ha questo timore. - Prima o poi -, mi diceva Enzo (Vincenzo Consolo n.d.r.) mentre parlavamo delle ultime intemperanze politico-letterarie di Sciascia, - Leonardo ci darà delle grosse sorprese! A volte mi viene da pensare che in qualche anfratto della sua anima Sciascia nasconda il desiderio di essere prete. La sua coscienza non ha formulato mai questo desiderio, ma il suo inconscio sì. I preti dei suoi romanzi sono disegnati con tale trasporto che è difficile evitare il sospetto che essi costituiscano il tipo umano che Sciascia vorrebbe essere. Il prete di Todo modo, per esempio. O il prete di Candido, che si spreta, diventa comunista, si stanca, diventa una sorta di radicale e non esclude il ritorno alla vita clericale. C’è qualcosa di inquietante, in questa figura ideale di scontento, che mi fa pensare a Leonardo Sciascia. Penso che quella punta di cinismo che affiora in tutti gli scritti di Leonardo venga da questa inconscia ed impossibile aspirazione alla vita clericale dall’intimo disagio di chi costringe se stesso ad essere ‘laico per forza’ “.
Il brano è confermativo della sincerità dello scrittore nel consigliare l’amico prete. “Dopo il mio matrimonio con Ottavia ”racconta sempre Gonzalo, che nel frattempo si era trasferito da Palermo a Milano “nel novembre del 1965 Sciascia cessò di comunicarmi le sue visite a Milano. (…) Del mio passato per Sciascia non restava nemmeno lo spunto per la nostalgia. ‘L’affaire’ padre Alvarez era liquidato. Non ci siamo più rivisti.”
Il libro di Gonzalo uscito vent’anni dopo, non fu soltanto pietra tombale sulla conclusa amicizia, ma scatenò una specie di gogna culturale nei confronti del religioso, tanto che gli toccò scriverne un altro di libro, pubblicato ventisei anni dopo, nel 2011, Ho parlato male di Garibaldi, per raccontare quelle “smodate reazioni”. Reazioni i cui effetti a tutt’oggi perdurano, visto che il caso Sciascia-Alvarez Garcìa è tabù tra i cultori, estimatori, ermeneuti, studiosi, esegeti e leonardosciasciologhi a vario titolo: una specie di omertoso conformismo, peraltro elusivo di una lezione dello stesso Sciascia che, quando chiarezza o etica o entrambe lo richiedevano, era uno che cercava la piaga per metterci il dito.
Non c’è dubbio che i giudizi su Sciascia espressi dal poeta spagnolonel suo racconto siano a tratti soggettivi e che, dato il personale e diretto coinvolgimento, lascino trasparire la componente emotiva che li detta, ma resta il fatto che la loro amicizia dura finché c’è il prete e muore quando non c’è più. Un fatto, che al contrario di quello che accade con il perdurante immotivato silenzio, dovrebbe, se non intrigare, quantomeno sollecitare gli esegeti del grande siciliano.
Il rapporto Sciascia-Chiesa delineato da Alvarez Garcìa, che non a caso richiama il freudiano complesso di Edipo, si pone nei termini di proiezione di un archetipo infantile che diventa l’avversario, esattamente come quel William Wilson, dell’omonimo racconto di Poe, perseguitato dal suo doppio fino a quando lo uccide, provocando anche la morte di se stesso. Sciascia vuole eliminare la Chiesa, per sopprimere l’avversario che si porta dentro; invertendo una frase di Maurice Blanchot, è il caso di dire che la volontà di sterminio è volontà di dialogo, e, allora, si comprende anche il significato profondo di quel “camminare” della sua statua a Racalmuto in direzione della Matrice.
*(Un doveroso grazie a Pippo Di Falco per avermi graziosamente approntato il testo de Le zie di Leonardo.)
FONTE: https://www.malgradotuttoweb.it/leonardo-sciascia-e-lamico-che-si-spreto-per-amore/
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