"I filosofi della Quarta Sezione", recente fatica letteraria del
penalista agrigentino Diego Guadagnino, è un libro piacevolissimo, ironico e
divertente, ma è anche ricco di spunti interessanti e concetti profondi che
invitano il lettore a riflettere sul ruolo dell’intellettuale nella società
contemporanea (Massa, Edizioni Clandestine, 2013, pp. 228, € 12,00).
L'ambientazione. A metà tra il romanzo filosofico e quello giudiziario (l’elemento
dinamico della trama è un processo per falsa testimonianza), "I filosofi
della Quarta Sezione" è ambientato nel 1985 a Cabiria, una cittadina
immaginaria della piccola provincia siciliana. Salta subito agli occhi del
lettore l'efficacia descrittiva dell’a. che riesce a rendere familiari i luoghi
del romanzo: il centro storico deturpato qua e là da edifici moderni,
gravitante intorno a un corso principale con le vie secondarie che vi si riversano
come tanti affluenti; le periferie che hanno esteso l’abitato in tutte le
direzioni, sotto la spinta dell’abusivismo e della cementificazione selvaggia
che ora minaccia il primo anello della campagna all'uscita della città.
I personaggi. Il microcosmo sociale di Cabiria è raffigurato con grande acume e
capacità di penetrazione psicologica (è questa, insieme all’efficacia
descrittiva dei luoghi e alla ferrea consecutività logica rilevata da Armando
Balduino nella prefazione, un’importante caratteristica della scrittura di
Guadagnino). Nel romanzo sono rappresentati personaggi così vicini a tipi umani
ben precisi che sembrano presi a prestito dalla realtà. Questo microcosmo è
ordinato gerarchicamente secondo una piramide del potere. Al vertice vi è Raffaele
Caserta, lo spregiudicato imprenditore che si è arricchito grazie alla
speculazione edilizia e agli appalti pubblici. L’imprenditore ha consolidato il
suo successo economico attraverso un network di relazioni sociali, che
comprende "agganci" nelle istituzioni e nella burocrazia comunale
(ufficio tecnico e commissione edilizia), amicizie politiche influenti, talpe
nei tribunali, giornalisti a libro paga ed esponenti della malavita
organizzata. Un gradino più giù stanno i politici democristiani, che rappresentano
la classe dominante. Poi ci sono gli intellettuali tradizionali - il docente
universitario, ossequiato come eminente tuttologo; lo storico locale, autore di
numerose pubblicazioni edite tutte a cura e a spese del Comune; la poetessa
nota nei salotti di Cabiria per le sillogi "Fiori d’ombra",
"Germogli offesi" e "Stille d’universo"; il giornalista di
Tele Cabiria – tutti "commessi" della classe politica dominante. E
infine i professionisti, i tecnici, gli ingegneri, gli avvocati. In
particolare, la galleria degli avvocati è un piccolo capolavoro di ironia.
Indimenticabili alcune figure come l’avvocato Scarano «un civilista con una
grande opinione di sé non condivisa dagli altri»: con lui, l’ovvio e l’evidente
finiscono di essere tali e diventano la faticosa conquista di un tortuoso
tragitto giudiziario; l’avvocato Argesilao Buttafuoco, pizzetto militare e viso
rubizzo, che alza la voce per bilanciare l’inconsistenza degli argomenti; il
principe del foro Romolo Cara, che trasuda superbia da ogni gesto e guarda
tutti con sufficienza, anche i giudici. Il comune denominatore di questo
microcosmo, preso nel suo complesso sono l’individualismo, l’amor proprio, la
sete di potere, la superbia, la boria intellettuale.
La Quarta Sezione. Rispetto ai valori dominanti c’è a Cabiria un’oasi
dove vigono valori sociali e morali, rappresentata dalla Quarta Sezione. È una
sezione del Partito Comunista Italiano nata in polemica con le altre tre
presenti nella città, ormai ridotte a circoli ricreativi. La Quarta Sezione è un’assemblea
sui generis. Non è intitolata ad alcun notabile di partito. Paradossalmente
l’atto che ne segna la nascita è la riconsegna delle tessere di partito. Ha uno
statuto proprio che prescrive uno scopo antipolitico (l’emancipazione dell’uomo
da ogni forma di schiavitù mentale e materiale). I componenti non si chiamano
tra loro compagni, ma colleghi e sono tali in quanto filosofi, sebbene svolgano
mestieri diversi. I numi tutelari non sono gli uomini politici del partito, ma
i maitre à penser come Marx, Gramsci e soprattutto Spinoza che è l’antesignano
dell’emancipazione dell’uomo. Ha sede nei bassi di un palazzo nobiliare (altro
paradosso) ed esplica la propria attività attraverso conferenze culturali,
filosofiche e letterarie. Possiede una bacheca del pensiero dove, dopo un’opera
di selezione e classificazione, vengono affissi i pensieri più profondi che
giungono nella sede della Quarta Sezione.
Il protagonista. Leader e fondatore di quest’assemblea è il geometra Calogero Vinci,
protagonista dell’opera. Da quando gli è morta la madre, vive da solo con due
gatti. Nato e cresciuto in una famiglia di braccianti, frequentatore fin da
bambino delle sezioni del PCI, ha sacrificato la sua vocazione umanistica per
conseguire un diploma tecnico che gli ha consentito di entrare subito nel mondo
del lavoro. Da autodidatta ha imparato il latino per leggere le opere di
Spinoza nella lingua originale e si è costruito un’ampia e vasta cultura
filosofica. Egli «campa di tecnica, ma vive di pensiero», proprio come l’occhialaio-filosofo
di Amsterdam. Saggi della sua capacità di elaborazione filosofica sono la
classificazione della marginalità del pensiero (schegge, cirri, chiodi) e la
distinzione tra teatro e anfiteatro, all’inizio del libro, che dividono gli
uomini in amanti dei piaceri del teatro (dell’arte, della cultura e dello
spirito) e in fautori dei piaceri dell’anfiteatro, cioè dei piaceri vicini agli
istinti più bassi, come le lotte tra i gladiatori, le uccisioni dei cristiani,
gli spettacoli con le belve che un tempo si svolgevano appunto negli
anfiteatri. Costruire anfiteatri reali o metaforici serve a impedire all’uomo
di elevarsi al di sopra della bestialità. L’opera del filosofo consiste proprio
nel travasare quote di umanità dall’anfiteatro al teatro. Per questo il
filosofo è inviso al potere.
La trama. Il rigore morale, l’onestà intellettuale del Nostro, l’essere immune dal
virus dell’amor proprio, dalla sete di potere, fama e ricchezza, ne fanno un
professionista integerrimo, ma anche un personaggio scomodo per chi vorrebbe
mettere le mani sulla città. È proprio questo attrito con il comitato d’affari
che controlla Cabiria a mettere in moto un complotto silenzioso, ordito da
oscuri manovratori ai danni del protagonista. il geometra-filosofo si ritrova
estromesso da incarichi professionali e addirittura imputato in un processo per
falsa testimonianza. L’autore descrive con grande maestria la frustrazione
dell’imputato che si ritiene vittima innocente di un complotto, la ricerca
delle prove per scagionarlo, la definizione della strategia processuale, fino a
sviluppare profonde riflessioni sulla natura della giustizia.
«La macchina della giustizia - si legge - gli appariva come un giuoco dove
non basta il rispetto delle regole per vincere; e questo margine d'azzardo
glielo rendeva simile alla vita. Una volta che ci sei dentro ti devi difendere.
La tua verità non è mai al sicuro, e non è detto che alla fine ce la faccia a
prevalere sulla menzogna o sull'impostura o sulla calunnia che ti offende.
Ognuno vorrebbe vedere la sua verità trionfare su tutto quello che la insidia,
ma questo desiderio conferisce alla sua vita l'andamento di un processo. Ogni
uomo, consapevole o meno che ne sia, è un accusato impegnato a difendersi,
dalle circostanze, dagli altri, e tante volte anche da sè stesso». (pp.
201-202).
A controbilanciare i dispiaceri giudiziari del protagonista c’è la storia
d’amore con l’architetto Renata Di Garbo, una donna colta e intelligente, che
condivide con lui i valori della bellezza e dell’amore per la filosofia.
Il significato. Il libro è una metafora del declino e della caduta
dell’intellettuale nella società contemporanea. Un declino, questo, che ha
avuto inizio alla fine dell’Ottocento, ma che si è aggravato con la fine delle
ideologie. Esso si richiama alla contrapposizione tra Faber (colui che fa, il
tecnico, il manager, l’imprenditore) e Sapiens (colui che sa, l’intellettuale,
il filosofo, il letterato). La storia dell’Occidente è attraversata
dall'alternarsi di queste due opposte nature. Quando prevale l’una, l’altra
soccombe. L’epoca che stiamo vivendo è quella del pragmatismo, della
produzione, della tecnica e della tecnologia. Non vi è più spazio per la
speculazione filosofica. La conseguenza più spaventosa di ciò è la morte
dell’etica, l'unica forza in grado di guidare gli uomini verso livelli
superiori di civiltà. E la tecnica, priva di guida, prelude a un mondo
disumanizzato di palazzi anonimi e senz'anima, macchine, manichini, come quelli
che compaiono nell'immagine di copertina, che è tratta da un dipinto del
maestro Salvatore Fratantonio, intitolato appunto "Il manichino".
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