Dalla
penna di Diego Guadagnino e i tipi di Controluce (Palermo, 2011 pp. 196
€. 12,00), "Il fabbro e le formiche", biografia di Domenico Cigna, ci
restituisce la storia di un gigante: un uomo, nel piu autentico senso
sciasciano; un uomo dimenticato. E’ inutile negarlo, Domenico Cigna ci
inorgoglisce; accade sempre agli amici di uomo illustre e perfino ai
suoi nemici, non foss'altro perchè ingigantisce anche loro. Quanto ai
conterranei, amici e nemici, i grandi uomini hanno anche questo, spesso
loro malgrado: che sollevano sopiti sonni identitari; e ben vengano in
una terra da 150 anni mortificata da luoghi comuni costruiti a tavolino.
Non è
di Domenico Cigna che vogliamo dire (leggete il libro se - attraverso
lenti non convenzionali - vorrete saperne di più sul mezzo secolo più
caldo dello XX secolo), ma del libro in sè.
E' un sottile molto ben nascosto gioco analettico tra l'autore e il suo narratore che si trasforma in una storia nuova: anzi due. Quella del “politico avvocato” (senza la virgola in mezzo, ci si persuade che essa manchi non a caso), l'una. Quella del letterato (con la virgola dopo, ci si persuade che essa stia lì non a caso), l'altra. Una separazione, quella tra il politico avvocato e il letterato che a tutta prima non capisci; che quasi infastidisce e delude quando l'occhio giunge alla fine del “politico avvocato”, perchè lì, il letterato non l'ha trovato e tutto presagiva il contrario. Subito Diego Guadagnino, quasi si fosse accorto a giochi fatti di avere tradito una promessa, presenta Domenico Cigna il letterato. Appresso, così, come se fosse un altro libro; una post-fazione. Col dubbio si incede nella lettura. Ma basta poco e si coglie che l'apparenza dello iato; sì azzeccato e necessario che perfino si dimentica d'aver fatto del politico avvocato conoscenza. Adesso la tensione è tutta prolettica, dimentichi di stare leggendo del letterato. Lì, nel letterato, c'è l'uomo: Domenico Cigna; nè letterato nè politico nè avvocato: c'è il poeta e la poesia, si sa, dal suo mondo, a sè da questo, a questo ci inchioda; senz'appello.
E' un sottile molto ben nascosto gioco analettico tra l'autore e il suo narratore che si trasforma in una storia nuova: anzi due. Quella del “politico avvocato” (senza la virgola in mezzo, ci si persuade che essa manchi non a caso), l'una. Quella del letterato (con la virgola dopo, ci si persuade che essa stia lì non a caso), l'altra. Una separazione, quella tra il politico avvocato e il letterato che a tutta prima non capisci; che quasi infastidisce e delude quando l'occhio giunge alla fine del “politico avvocato”, perchè lì, il letterato non l'ha trovato e tutto presagiva il contrario. Subito Diego Guadagnino, quasi si fosse accorto a giochi fatti di avere tradito una promessa, presenta Domenico Cigna il letterato. Appresso, così, come se fosse un altro libro; una post-fazione. Col dubbio si incede nella lettura. Ma basta poco e si coglie che l'apparenza dello iato; sì azzeccato e necessario che perfino si dimentica d'aver fatto del politico avvocato conoscenza. Adesso la tensione è tutta prolettica, dimentichi di stare leggendo del letterato. Lì, nel letterato, c'è l'uomo: Domenico Cigna; nè letterato nè politico nè avvocato: c'è il poeta e la poesia, si sa, dal suo mondo, a sè da questo, a questo ci inchioda; senz'appello.
“Questo
e quanto” avra pensato l'autore (o il personaggio?) quando ha messo il
punto fermo alla fine della prima parte; e quando ha iniziato la
seconda: “e ora a me “.
Una
storia sì autonoma che della prima si nutre di continuo e all'esito ci
propone il senso di tutta la prolessi. Beh! Trovatelo da soli, trovate
il vostro di senso, che ce ne sarà uno per ciascuno. La storia non ha i
compromessi stilistici delle biografie: cosi com'è uomo senza
compromessi e di disarmante libertà Domenico Cigna, cosi è narratore
incalzante, diretto e forbito Diego Guadagnino; attento lettore della
Storia, non cede mai – e sarebbe stato facile davanti a un soggetto cosi
eticamente ingombrante – all'agiografia. Critico sicuro eppure
ammirato; letterato erudito, eppure sincero.
Mentre
si legge un libro così, tutto d'un fiato, non si sa mai, giunti al
termine, se la fascinazione viene dal personaggio o dal suo autore. No,
non val dire che viene da entrambi, che l'uno senza l'altro non
starebbero in piedi; qui gli è che il personaggio ha incontrato il suo
autore. Voce narrante e voce del personaggio si alternano e si
confondono, regalandoci un continuum spazio-temporale in cui quasi un
secolo – e quale secolo! – di storia si dipanano nell'agevolezza della
cronaca, senza mai perdere di vista la cifra letteraria.
Un
libro che ci consegna una preziosa riflessione sulla giustizia, quella
della vita, al fine; in cui quella dei tribunali, dall'uno e dall'altro
praticata, non sono che una pallida parodia. Specchio disilluso dei suoi
attanti, avvocati alimentari o gnostici, come felicemente chiosa
l'autore, metafora senza tempo dell'umanità. Avvocati alimentari e
avvocati gnostici specchio fedele a loro volta di giudici con e senza
occhiali neri, come al pari ci ricorda Calamandrei.
Nel
libro c'è di più, molto di più della vita, o anzi è giusto dire, della
storia di Domenico Cigna. Non ce ne vogliano coloro che ne custodiscono
la memoria: nel libro l'esperienza straordinaria di un uomo
straordinario si dissolve nel sottile gioco analettico dell'autore con
il suo personaggio e da lì rinasce .... Parra strana la lettura che ne
do: non si spense improvvisamente all'età di 67 anni Domenico Cigna, no.
Il buon Dio lo aspettava: che fosse pronto, come ognun che se ne va da
questa terra, lui lo aveva capito.
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