Lo scarto tra lo spazio dell’anima e la realtà quale ci appare: è da lì
che nasce ogni malessere, è lì che si trova la matrice degli enigmi, il
nido dell’inquietudine, la fonte dell’ansia che perennemente ci spinge a
chiederci il perché dell’esistere. E’ lì, soprattutto, che incontriamo e
verifichiamo la povertà dell’esistenza rispetto alle indefinite istanze
dell’anima. L’arte non è sublimazione della materia, non è incantesimo
ma semplicemente riduzione o annullamento di quello scarto. E’ ciò che
fanno la pittura con l’immagine, la poesia con la parola, la musica col
suono. Smaterializzano la distanza tra l’anima e il reale.
Dimostrano ai nostri sensi sviati e snaturati da un
mondo disumano che anche su questa terra sono possibili la libertà,
l’amore, la bellezza. L’arte di Fratantonio riesce
a darci questa sensazione di miracolo. I suoi quadri sono squarci di
vedute sulla dimensione della grazia. Certo, può anche risultare poco
originale intitolare una mostra di pittura “I paesaggi dell’anima”-
molti artisti coniugano anima con colori, con percorsi, con visioni, con
materia, per rivendicare l’arte agli aneliti dell’anima e viceversa. Ma
è una rivendicazione legittima. Anzi, forse è la sola ammissibile. E
Salvatore Fratantonio con questa mostra sicuramente non intende proporre
una stagione nuova del suo itinerario creativo, ma una lettura, una
rivisitazione in cui più mirato diventa il discorso all’insegna di un
paesaggio che nel farsi pittura raccoglie il dettato di uno spirito che
intuisce più di quanto l’occhio possa vedere. Questo e non altro egli ha
sempre fatto con la sua opera.
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