mercoledì 17 aprile 2013

ARMANDO BALDUINO, Prefazione di "I filosofi della Quarta Sezione"



Diego Guadagnino
I filosofi della Quarta Sezione
Edizioni Clandestine
Marina di Massa, 2013






Se, prima di conoscere questo suo nuovo romanzo, mi fosse stato chiesto un parere sull’attività  letteraria di Diego Guadagnino, avrei a un di presso risposto così: pregevole quanto persuasiva  non solo per la vastità della gamma tematica e delle sottese implicazioni esistenziali, ma anche per il raffinato recupero di classicheggianti  modalità stilistico-metriche. Un discorso autonomo e specifico richiedono le opere in versi che a me paiono avere raggiunto un proprio culmine col recente Apocrifi (2011). Per ciò che è del saggista e del narratore, premetterei invece che (Guadagnino essendo un avvocato penalista) determinanti sembrano essere, già in prima istanza, prerogative che si direbbero legate ad abitudini professionali: all’esigenza  cioè di muovere da un quadro organico e puntuale dei fatti sulla cui base porsi poi alla caparbia ricerca delle non solo esplicite ma anche tortuosamente sottese motivazioni.
    Palesemente, è stata una insopprimibile ragione etica  a spingere Guadagnino a impegnarsi  nello scandagliare e ricostruire punto per punto l’ormai obliata parabola umana e politica di quel Domenico Cigna che (cfr. Il fabbro e le formiche, 2011) fu, in Sicilia, uno dei padri fondatori del socialismo.  Ma anche nelle creazioni di pura fantasia, a sostanziare  i suoi personaggi è non tanto il lascito del loro personale vissuto  quanto  la loro ideologia, coagulata sempre entro una partecipe militanza nell’ambito della sinistra. Ciò valeva già  nell’arcaico e chiuso mondo antico della comunità che, in La via breve, convive tutta ai lati di una stessa, corta strada; e vale a maggior ragione per questo nuovo romanzo il cui titolo (pertinente sì, ma forse non dei più accattivanti) dev’essere così spiegato:  la “Quarta Sezione” è tale perché costituita da militanti espulsi dalle altre (ortodosse)  tre sezioni che del Partito comunista esistono nella medesima città; e sono “filosofi” in quanto, senza aver rinnegato la dottrina marxista (di un Marx peraltro  che tendono a leggere secondo prospettive gramsciane) hanno individuato il proprio nume tutelare nel filosofo Baruch Spinoza, venerandolo al punto che uno dei protagonisti, il geometra Calogero Vinci, affronta lo studio del latino al solo scopo di poter leggere nel testo originale  l’Ethica more geometrico demonstrata.
    Per chi avvertisse una qualche esigenza  di classificazione tipologica, suggerirei  il recupero di un’etichetta a suo tempo,  e per altre ragioni, suggerita da Gianfranco Contini: quella cioè del “verismo regionalistico”. Ciò tuttavia senza trascurare il fatto che, su altro piano, novità saliente di quest’ultima opera è che in essa il nostro scrittore dà prova d’essere in possesso anche di spiccate capacità inventive.
    Inventata è, per cominciare, la fantomatica Cabiria che è la città sicula in cui, nell’anno 1985, si svolgono i fatti  e non più proletari ne sono gli attori, bensì tipici esponenti di una piccola e media borghesia di provincia.
    Situazioni di apertura sono le seguenti: 1) il diffondersi di maldicenze secondo le quali molte signore-bene del luogo avrebbero avuto l’abitudine di esibirsi entro una casa di tolleranza scoperta e chiusa in una città vicina: trattandosi del vecchio problema-corna, gli adepti della Quarta Sezione restano incerti sull’idea di un loro intervento, ma poi, verificato che di vero non c’è assolutamente nulla, se ne escono con un pubblico manifesto  che ottiene il plauso financo dei Lions e della Fidapa; 2) un correttissimo progetto edilizio presentato dal geometra Vinci subisce una inopinata, immotivata bocciatura, e si scopre che a determinarla è stata una cosca mafiosa la quale, sicura di poterli rendere edificabili, ha puntato su quei terreni; 3) il solitario, già citato geometra riceve da Renata una missiva che (“Una lettera che cambia la vita” avverte il titolo del cap.X) conferma il consolidarsi di un rapporto che si rivelerà non solo amoroso ma anche intellettuale: donna sensibile, intelligente e colta, Renata diverrà infatti, in più occasioni, partner ideale anche per le spesso acute riflessioni sulla vita, sull’ambiente, sulla storia alle quali  non di rado indulge il suo filosofeggiante compagno; 4) sempre il protagonista, apprende di essere imputato di falsa testimonianza  per una deposizione in un procedimento civile del quale a stento serba memoria e che tuttavia, con Renata al fianco, lo obbligherà a recarsi a Palermo e a ridiscendere in campo, essendo subito chiaro che non certo lievi saranno i conseguenti danni. E’ ancora l’amica a individuare, esposta in Municipio, una foto che basterebbe da sola a scagionare l’accusato; non solo quella foto però, ma anche il negativo sono fatti sparire dagli interessati. Tra le conseguenze è da rilevare il fatto che, nelle elezioni comunali, la lista della Quarta Sezione capeggiata dal Vinci subisce, anche ma non solo per le rivalità interne alla sinistra, una bruciante sconfitta e a trionfare sono di nuovo i democristiani capeggiati dal sindaco uscente Nunzio Pedano…
   Naturalmente, su codesti preliminari mi arresto in quanto non devo certo compromettere le non poche altre sorprese che attendono il lettore e al quale solo indico che per scoprire se le tortuose quanto verosimili vicende di questo romanzo politico avranno o meno un lieto fine dovrà attendere la succisa e  documentata Parte  seconda. Qualche parola dedico invece al linguaggio di cui il romanzo si avvale.
    Anche qui, quella di Guadagnino non è mai una lingua che indulga alla ricerca di particolari espressività: rarissimi, per es., e sempre motivati, sono i prelievi dialettali. Il dato saliente sembra invece ravvisabile nella costante di una sobria, unitonale e cristallinamente geometrica sintassi. Cerco di spiegarmi ricorrendo a un (teorico) dettaglio: capita spesso  a molti di noi di avvertire una qualche difficoltà nel passaggio da un periodo all’altro, e può succedere allora che si ricorra a precari e pleonastici raccordi del tipo “tuttavia”, “comunque”, “in altri termini” eccetera. Nella prosa dello scrittore di Canicattì ciò non si verifica mai: ogni periodo segue all’altro con una consecutività che è logica quanto necessitata.
     Ciò assodato, volendo non sottrarmi a una prassi che da tempo sembra divenuta inusuale (quella, voglio dire, del “giudizio di valore”), lo faccio  con una premessa: essendo un italianista  che per quasi quarant’anni ha occupato, in quel di Padova, una cattedra universitaria di Letteratura italiana, non ho ancora perduto l’abitudine di  tenermi aggiornato sui più recenti sviluppi della nostra narrativa: evito di precisare quella mezza dozzina di nomi che salverei, ma sono del parere che, con libri quasi mai destinati a vivere  al di là di una stagione, il livello generale tenda a una poco consolante mediocrità.  In un simile panorama non esito però a ravvisare nei Filosofi della Quarta Sezione una felice eccezione.
    Auguro dunque a questo solido, compatto, originale romanzo il successo di critica e di pubblico che sicuramente merita; e per ciò stesso spero anzitutto che  possa giovarsi, anche a livello nazionale, di quella vasta e capillare rete di distribuzione che altri libri di Guadagnino non sembrano avere avuto.

1 commento:

  1. Dalla prefazione (non l'ho letto, ma so che uscirà a breve), il romanzo di Guadagnino sembra contenere le nebbiose atmosfere politico-sociali-mafiose descritte in romanzi come "Il giorno della civetta" o "A ciascuno il suo". Se dopo più di 40 anni un autore nel descrivere una cittadina siciliana deve ricreare talune atmosfere del passato, forse significa che è cambiato davvero poco! O meglio, è cambiato tutto ciò che serviva, per non cambiare niente di ciò che serve a certo potere. Sono curioso di leggerlo.
    Angelo Lo Verme

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