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"Pagine dal Sud"
Ragusa, settembre 2007
Da anni Salvatore Vaiana dedica le sue ricerche di storico attento e puntiglioso al passato della Sicilia attraverso “microstorie” locali, in un lavoro che gli permette di addentrarsi nei particolari di avvenimenti e personaggi, facendo luce su aspetti inediti e spesso rivelatori della realtà isolana. Nella parte introduttiva di una delle sue opere più significative, Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento – Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia,clero e massoneria a Barrafranca e dintorni, Bonfirraro editore, Palermo, 2000, padre Ennio Pintacuda, rilevando la peculiarità e l’importanza dell’attività storiografica svolta da Salvatore Vaiana, auspicava il recupero della memoria storica siciliana attraverso un criterio di ricerca “disarticolato e particolare”, applicato a una minuziosa ricostruzione di tasselli musivi intesi a ridurre, nel risultato finale, l’approssimazione di cui peccano tante storie a carattere generale della nostra isola. Concordando con tale auspicio, bisogna riconoscere come la variegata e complessa tessitura della identità siciliana, abbia dimostrato, attraverso le opere di eccellenti scrittori, come in Sicilia spesso la realtà risulti più stupefacente e intrigante dell’invenzione letteraria, determinando inevitabili e sempre più frequenti incursioni (da Sciascia a Camilleri all’Attanasio) dello scrittore nella storia e richiedendo allo storico una sensibilità che di solito si appartiene al letterato; e alludiamo a quella sensibilità storica o “immaginazione intuitiva” di cui teorizzava molto acutamente Lucien Febvre, sin dagli anni venti del secolo scorso, come risorsa indispensabile a un’indagine storica che non voglia arrestarsi al di qua della linea d’ombra dei grandi eventi e dei grandi personaggi. E non c’è dubbio che questo tipo di sensibilità possa essere spesa al meglio nelle microstorie locali, che, appunto perché tali, consentono uno studio ravvicinato di uomini e fatti.
Questa Storia della Camera del Lavoro di
Canicattì, edizione a cura della CGIL, Agrigento, 2007, ultima e recente
fatica dello storico di Prizzi, nasce sulla scia della sua consolidata
direttrice metodologica. Vaiana sottrae all’oblio e alla polvere degli archivi
lotte, avvenimenti, protagonisti del movimento democratico a Canicattì,
coprendo una lacuna cresciuta negli anni da quanti scrittori canicattinesi si
siano occupati del passato della loro città; e la copre con l’intuibile
vantaggio che, non essendo nativo del luogo, non nutrendo legami affettivi con
la materia trattata, la ‘scientificità’ fattuale non viene inficiata da
valutazioni acritiche o liriche in cui solitamente inciampano gli storici
locali. Nonostante il titolo, che resta indicativo di un preciso punto di
osservazione e di riferimento, l’opera non si limita alle vicende e alle
battaglie della Camera del Lavoro di Canicattì, ma ne travalica i limiti nel
tempo e nello spazio d’interesse. La narrazione del Vaiana, infatti, prende le
mosse da circa un secolo prima della nascita di quella organizzazione sindacale
a Canicattì (1919), e cioè dal 1820, anno in cui esplode il moto
carbonaro-massonico che registra l’adesione popolare ed è guidato dai baroni
locali che, fiutando i tempi, rivendicano l’indipendenza da Napoli. Soffocata
quasi immediatamente la rivolta dal pronto intervento dell’esercito borbonico,
la classe dirigente locale, ritornata fedele alla monarchia napoletana, per
riaccreditarsi borbonica, non esita a far sparare qualche mese più tardi su quei
contadini che l’avevano seguita nel tentativo indipendentista e
costituzionalista, e che ora protestavano per l’ennesimo aumento della tassa
sul macinato. Questo episodio ed altri che mettono a nudo la spregiudicatezza
di una nobiltà meschina e opportunista, vengono attinti dal Vaiana da un
anonimo manoscritto, rinvenuto casualmente alcuni anni orsono e trascritto con
pazienza da amanuense da Cesare Gangitano (citato in bibliografia come Cronache
di Canicattì dal 1792 al 1852, Napoli, 2003, ma inedito).
Nelle pagine “dilavate e graffiate”, è il caso di
dire col Manzoni, l’anonimo cronista, precorrendo la scuola delle Annales,
annota quanto accade nella comunità circostante, riconoscendo pari dignità di
attenzione sia gli eventi politici e collettivi che alla vicende private come
omicidi, abigeati, matrimoni, decessi, in una mistura di cronaca spicciola e
storia elaborata su un modulo diaristico.
Attraverso lo snodarsi dei fatti nel tempo, Vaiana
analizza il trapasso alla modernità dell’operoso centro agricolo, che nel 1892
conta una popolazione di 20.875 abitanti e che annovera la presenza di
latifondisti, industriali, banchieri, commercianti, professionisti, associati
nel Circolo di Compagnia, di un ceto operaio e artigiano raggruppato nella
Società Figli del Lavoro e di una stragrande maggioranza di contadini poveri
associati nel Fascio dei Lavoratori. La spinta democratica e socialista
costituisce l’attributo politico predominante di una collettività che agli
albori del nuovo secolo esprime un Fascio di millequattrocento soci, che vota
con larga maggioranza il repubblicano-socialista Napoleone Colajanni e che
elegge un’amministrazione comunale di sinistra.
Merito del volume è l’avere per la prima volta
portato sulla pagina della storia, in maniera organica e capillare, le lotte
delle classi subalterne, le vicende interne della sempre travagliata sinistra a
Canicattì e di avere, per consequenziale simmetria, tracciato i connotati del
potere economico canicattinese concentrato nelle quattro o cinque famiglie che
se lo sono tramandato fino alla riforma agraria e alle lotte contadine del
secondo dopoguerra. E ciò il nostro storico fa ripercorrendo, tra l’altro, le
colonne di una folta sequenza di testate locali (La Folgore Socialista, La
Folla, Il Falcetto, Il Comune Socialista, Falce e Martello, ecc.) pubblicate
nel primo ventennio del Novecento, prima che la dittatura soffocasse ogni
espressione di democrazia e che documentano la vivacità di una coscienza di
classe fortemente diffusa e operante. Sono gli anni in cui la vita politica
della sinistra è animata da figure dello spessore di Domenico Cigna, avvocato
principe del foro agrigentino, giurista di fama, poeta di valore, in gioventù
parlamentare dell’ala massimalista del socialismo italiano, fondatore nel 1919
della Camera del Lavoro di Canicattì, unitamente al fratello Diego, che ne
assume la funzione di segretario, e a Gaetano Rao. Dalle pagine di Vaiana
emergono tanti nomi dimenticati o al massimo affidati all’asettica memoria
nominale di qualche denominazione viaria di terz’ordine. La CdL, per la sua
presenza concreta e incisiva nella struttura economica, alleggerita dalla
ideologia che caratterizza invece l’attività dei partiti, diventa il nucleo
principale delle lotte al potere economico, tanto che la mafia, sia nel primo
che nel secondo dopoguerra, ne fa il bersaglio privilegiato della sua violenza
intimidatrice attraverso l’uccisione di numerosi sindacalisti. Canicattì, città
caratterizzata da una virulenta presenza mafiosa, non fa eccezione a tale regola.
Ripresa l’attività democratica, alla fine degli
anni quaranta del secolo scorso, attraverso una massiccia occupazione delle
terre, guidata dal leggendario Domenico Messina (a cui Salvatore Vaiana ha
dedicato una monografia, Il Contadino Dirigente, con un ampio saggio di
Giuseppe Carlo Marino, oggi in corso di stampa), la CdL si viene a trovare al
centro di una imponente mobilitazione popolare contro il blocco
agrario-qualunquista, capeggiato dal demolaburista Giovanni Guarino Amella.
La reazione dei latifondisti è preoccupata e
violenta, si esprime con attentati alle sedi dei partiti della sinistra.
Antonio Mannarà, segretario della sezione comunista e attivamente impegnato nel
sindacato, viene fatto segno di due agguati ai quali riesce a scampare. Le
elezioni comunali vengono vinte dal blocco del popolo (socialcomunisti) con
larghissima maggioranza. Tale periodo di violenze e provocazioni culmina in
quella che rimane “la pagina più tragica della storia della Camera del Lavoro e
del popolo di Canicattì: la strage del 21 dicembre 1947”, nella quale perdettero
la vita tre braccianti e un carabiniere. Dopo sessant’anni, Vaiana solleva il
velo di unanime silenzio steso su quei fatti di sangue, a seguito dei quali la
sinistra subì un processo con condanne e lacerazioni interne, mentre la
reazione poté finalmente vedere realizzato il sogno che era stato sempre nei
suoi voti: il controllo politico di una città che per oltre cinquant’anni aveva
dato prova di una forte coscienza di sinistra. Le ragioni del silenzio,
squarciato per la prima volta dal libro di cui ci occupiamo, vanno ricercate
nei sensi di colpa di una sinistra che nelle condanne giudiziarie vide
attribuirsi, senza reagire, la pesante responsabilità del sanguinoso bilancio,
e di una destra che, cambiata nel risultato effettivo l’identità politica della
città ed essendo rimasta sempre nell’ambiguità la provocazione mafiosa della
strage, non aveva in pratica nessun valido motivo per rimestare nelle torbide
acque delle responsabilità o delle recriminazioni. Vaiana ricostruisce, per
quanto sia possibile a distanza di oltre mezzo secolo, la dinamica dei fatti
raccogliendo le poche testimonianze di partecipanti a quella manifestazione
viventi ancora oggi, nonché attraverso l’esame della lacunosa sentenza della
Corte di Assise di Agrigento, da un lato, e, dall’altro, scorrendo l’arringa
difensiva dell’ avv. Lelio Basso (pubblicata nel volume Democrazia sotto
accusa, nel quale l’autore raccolse le difese che lo avevano visto impegnato
nei processi scaturiti da quella drammatica stagione di lotte contadine che
investì tutto il Meridione), difensore avanti la Corte di Assise agrigentina
del principale imputato, tra i trentacinque di quel processo, Antonio Mannarà.
Evidenziando l’inquietante presenza di Lucky Luciano
a Canicattì, ospite del barone Agostino La Lomia, qualche mese prima della
strage e riallacciandosi al piano Truman che sanciva la necessità di arrestare
con ogni mezzo l’avanzata socialcomunista in Sicilia, Vaiana, in linea con le
recentissime tesi dello storico Giuseppe Casarrubea, ipotizza che “la strage di
Canicattì potrebbe essere inquadrata nella terribile strategia dei falsi
incidenti sostenuta da una serie di forze: l’Oss, l’esercito, i neofascisti,
alcuni ambienti della Chiesa, i mafiosi, i massoni, i monarchici, certi
industriali, aristocratici, gabelloti e latifondisti.” Certamente la questione
di questa ennesima “strage dimenticata” rimane aperta; ulteriori elementi, se
non risolutivi almeno utili, potrebbero senz’altro essere ricavati da un’attenta
rilettura di tutti gli atti giudiziari del processo di Agrigento; le uniche
certezze che allo stato rimangono, comunque, inalterate nella oggettività del
dato sono il trauma subito dalla collettività e la sua conseguente definitiva
espropriazione della identità progressista.
L’ultima parte del volume ripercorre il trentennio
della segreteria Saccaro, il contadino sindacalista, proveniente dalle file del
Partito Comunista, che ha dedicato con passione autentica l’intera sua
esistenza alla difesa dei diritti dei più deboli, in un lungo periodo che ha
visto prima l’emigrazione delle forze più vive nelle aree di concentrazione
capitalistica del Nord e degli altri paesi dell’Europa Centrale e poi
l’esplosione del mercato dell’uva “Italia”, che ha trasformato l’agricoltura in
senso intensivo, con consequenziali problemi di sfruttamento e di larga pratica
del lavoro nero nelle campagne. La CdL, in tale clima, ha operato nell’ambito
di un’accumulazione capitalistica rimasta per anni pressoché incontrastata e di
un ambiente culturale gretto e stantio che la contestazione studentesca, negli
anni che vanno dal ’69 in avanti, cercò di sollecitare nella direzione di una
più vissuta democrazia partecipativa. Esauritasi la spinta sessantottina, è
prevalso nella società canicattinese (come, d’altronde, ormai ovunque) un
progressivo appiattimento su pseudovalori individualistici, con l’inarrestabile
sgretolarsi di ogni forma di aggregazione politica tradizionale.
A tale andazzo, la CdL, guidata dal nuovo segretario
Salvatore Treppiedi, ha opposto varie e continue iniziative di apertura alle
problematiche pacifiste, ecologiste ed extracomunitarie, sulle quali
malinconicamente si conclude il libro di Vaiana.
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