giovedì 30 aprile 2015

DIEGO GUADAGNINO, Nota a margine di una mostra

Giovanni Blandino e Salvatore Fratantonio decidono di allestire una mostra che va al di là delle consuete e periodiche sortite pubbliche con le quali  gli artisti sogliono esporre le opere di una loro fase creativa.

     L’evento, infatti, vuole essere un omaggio all’arte e all’amicizia. Blandino e Fratantonio, figli della stessa città, vivono l’infanzia nello stesso ambiente, si scoprono amici sulle stesse strade, crescono i loro sogni negli stessi contesti e lasciano Modica  in un’epoca in cui uscire dalla Sicilia era condicio sine qua non dell’agognato successo.
    Ora, col sentimento di un’amicizia antica e salda come un albero di ulivo, si voltano insieme a guardare giù a valle un cammino segnato dalle opere e dai riconoscimenti che nel tempo hanno scandito il realizzarsi delle loro potenzialità creative. Entrambi hanno sviluppato, col cromatismo della luce e la plasticità della materia, la comune matrice mediterranea, dandoci forme, visioni, segni che sono entrati a far parte viva del nostro immaginario individuale e collettivo.
    Se Fratantonio, nel suo personalissimo e inconfondibile linguaggio pittorico, ha reinventato il paesaggio ibleo con le solitudini palpitanti di mistero e le fascinose feritoie di luce tra le nuvole al tramonto, Giovanni Blandino attraverso i volumi liberati dalla materia ha ricreato il processo della vita conferendo un’aura di classica dignitosa maestosità all’icona materna eletta a nucleo generatore del suo mondo poetico. Come il carrubo nelle tele di Fratantonio svolge il ruolo di simbolo polivalente della condizione umana, la donna nella scultura di Blandino è quel termine costante di riferimento che permette all’essere di contraddistinguersi dal nulla assumendo nelle cangianti morfologie della materia l’infinita gamma delle sue manifestazioni. E pensiamo, esempio tra tanti, al monumento per le vittime della strage fascista del 1921 eretto a Modica, dove il corpo della donna mutilo alle gambe e le braccia levate in impeto di slancio verso il cielo diventa sintesi potente di lotta e di tragedia, di offesa e di speranza.
    In un tempo di aggressione sistematica ai diritti, al lavoro, alla sovranità degli Stati, alla cultura, due vite dedicate all’arte, come quelle di Blandino e Fratantonio, ci suggeriscono tante cose. E prima di tutte il senso dell’arte nella fondazione del nostro essere uomini di civiltà.
    Due parole, fino a ieri indice di elevata consapevolezza, oggi, scomparse dal vocabolario quotidiano, non vengono più usate da nessuno: sono alienazione utopia, la prima riferita alla condizione del presente e la seconda all’orizzonte del futuro. La loro scomparsa, come le lucciole di Pasolini, ci dice di quanto sia stata impoverita la nostra umanità da una guerra predatoria che il denaro ha mosso alla civiltà e che ha raggiunto l’individuo nella sua sfera psicologica e spirituale. Tra questa notazione linguistica e la proposta dei due maestri,  che hanno creato valore aggregante per la società, il passo è breve; e ci conduce a leggere l’odierna manifestazione come un atto di resistenza contro la barbarie.

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